Giocare sulle scale (Essere Dio)

Giocare sulle scale
(Essere Dio)

Un bambino giocava a “fare il prete” insieme ad un coetaneo, sulle scale della sua casa.
Tutto andò bene finché il suo piccolo amico, stufo di fare solo il chierichetto, salì su un gradino più alto e cominciò a predicare.

Il bambino naturalmente lo rimproverò bruscamente:

“Posso predicare soltanto io!
Tu non puoi predicare!

Tocca a me!

Rovini il gioco, sei cattivo!”
Richiamata dagli strilli, intervenne la mamma e spiegò al bambino che per dovere di ospitalità doveva permettere all’altro di predicare.

A questo punto il bambino si imbronciò per un attimo.

Poi, illuminandosi, salì sul gradino più alto e rispose:
“Va bene, lui può continuare a predicare, ma io farò Dio!”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il cucciolo di cammello

Il cucciolo di cammello

Mongolia del Sud.
È primavera nel Deserto Dei Gobi, una famiglia di pastori nomadi alleva cammelli.

Tra aprile e maggio nascono i cuccioli, da sempre.

La vita quotidiana è fatta di rituali, mansioni da svolgere con costanza e umiltà, di tempeste di sabbia e di canti.
Una famiglia di pastori nomadi aiuta a far nascere un cammello del loro branco.
Il parto risulta essere molto difficile e doloroso per la madre, che stremata, dopo due giorni metterà alla luce un cucciolo di cammello albino.
Ma dopo la nascita, la madre non accetta questo suo piccolo così diverso.

Quindi gli rifiuta il latte e le cure materne.

Dopo tanti sforzi, i pastori mandano i loro figli nel deserto, alla ricerca di un musicista.
Finalmente arriva un violinista, e dopo alcuni giorni, la dolce musica e le carezze da parte di una donna, riescono a commuovere e intenerire la madre del piccolo cammello fino alle lacrime, riuscendo così a recuperare l’istinto materno, cominciando a nutrire e ad accudire il proprio cucciolo.

Brano tratto dal film-documentario sulla perdita dell’amore “La storia del cammello che piange.” di Luigi Falorni e Byambasuren Davaa.

Un film semplice e straordinario, che cerca di parlare con l’amore della natura.
Talvolta, le storie vere racchiudono in se stesse quella magia dell’incanto che nessuna finzione riesce ad eguagliare.
Non ci sono effetti speciali, costumi o sofisticate strategie in grado di competere con la bellezza che ci circonda.
Basta saper vedere con gli occhi del cuore e riscoprire la meravigliosa semplicità dello stupore.

L’aquila che visse come un pollo

L’aquila che visse come un pollo

Un giorno un allevatore di polli, appassionato scalatore, mentre si arrampicava su una montagna particolarmente difficile, s’imbatté in una sporgenza.
Su quella sporgenza c’era un nido e nel nido c’erano tre grandi uova.
Uova di aquila.
L’uomo sapeva di comportarsi in modo anti ecologico e forse anche illegale, ma cedette alla tentazione di prendere una delle uova e metterla nel suo zaino, accertandosi, prima, che l’aquila madre non fosse nei paraggi.
L’allevatore continuò la sua scalata, alla fine tornò alla fattoria e mise l’uovo nel pollaio.

Quella sera la gallina si sedette su quell’enorme uovo per covarlo:

era l’immagine della madre più orgogliosa che si potesse immaginare.
E anche il gallo sembrava fiero di sé.
A tempo debito, l’uovo si schiuse e l’aquilotto uscì, si guardò attorno, vide la gallina e disse: “Mamma!”
E fu così che l’aquila crebbe con i suoi fratelli pollastri.

Imparò a fare tutto ciò che fanno i polli:

chiocciare e schiamazzare, grattare per terra alla ricerca di vermi, agitare le ali furiosamente e volare a poche spanne d’altezza prima di ricadere, a terra, in una nuvola di polvere e piume.
L’aquilotto era assolutamente sicuro di essere un pollo.
Un giorno, quando era ormai anziana, l’aquila che credeva di essere un pollo guardò il cielo.
Lassù, in alto tra le correnti, volava maestosa, senza sforzo e senza quasi muovere le ali, un’aquila.
“Cos’è quella?” chiese stupita la vecchia aquila, “È magnifica.
Quanta potenza e quanta grazia!

È poesia in movimento.”

“Quella è un’aquila!” disse un pollo, “È il re degli uccelli.
È un uccello dei cieli, noi siamo solo polli, uccelli di terra!”
E fu così che l’aquila visse e morì da pollo; perché questo era ciò che credeva di essere.

Brano tratto dal libro “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo.” di Anthony de Mello

Non bere quando devi guidare

Non bere quando devi guidare

Mamma… sono uscita con amici.
Sono andata ad una festa e mi sono ricordata quello che mi avevi detto:
di non bere alcolici.
Mi hai chiesto di non bere visto che dovevo guidare, cosi ho bevuto una Sprite.
Mi sono sentita orgogliosa di me stessa, anche per aver ascoltato il modo in cui, dolcemente, mi hai suggerito di non bere se dovevo guidare, al contrario di quello che mi dicono alcuni amici.
Ho fatto una scelta sana ed il tuo consiglio è stato giusto.
Quando la festa è finita, la gente ha iniziato a guidare senza essere in condizioni di farlo.
Io ho preso la mia macchina con la certezza che ero sobria.

Non potevo immaginare, mamma, ciò che mi aspettava…

Qualcosa di inaspettato!
Ora sono qui sdraiata sull’asfalto e sento un poliziotto che dice:
“Il ragazzo che ha provocato l’incidente era ubriaco!”
Mamma, la sua voce sembra così lontana…
Il mio sangue è sparso dappertutto e sto cercando, con tutte le mie forze, di non piangere.
Posso sentire i medici che dicono:

“Questa ragazza non ce la farà!”

Sono certa che il ragazzo alla guida dell’altra macchina non se lo immaginava neanche, mentre andava a tutta velocità.
Alla fine lui ha deciso di bere ed io adesso devo morire…
Perché le persone fanno tutto questo, mamma?
Sapendo che distruggeranno delle vite?
Il dolore è come se mi pugnalasse con un centinaio di coltelli contemporaneamente.
Dì a mia sorella di non spaventarsi, mamma, dì a papà di essere forte.
Qualcuno doveva dire a quel ragazzo che non si deve bere e guidare…

Forse, se i suoi glielo avessero detto, io adesso sarei viva…

La mia respirazione si fa sempre più debole e incomincio ad avere veramente paura…
Questi sono i miei ultimi momenti, e mi sento cosi disperata…
Mi piacerebbe poterti abbracciare mamma, mentre sono sdraiata, qui, morente.
Mi piacerebbe dirti che ti voglio bene per questo…
Ti voglio bene e…. addio”

Queste parole sono state scritte da un giornalista che era presente su una scena di un incidente.
La ragazza, mentre moriva, sussurrava queste parole ed il giornalista scriveva… scioccato.
Questo giornalista ha iniziato subito dopo una campagna contro la guida in stato di ebbrezza.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Segui Gesù come Maria

Segui Gesù come Maria

Una notte ho fatto un sogno splendido.
Vidi una strada lunga, una strada che si snodava dalla terra e saliva su nell’aria, fino a perdersi tra le nuvole, diretta in cielo.
Ma non era una strada comoda, anzi era una strada piena di ostacoli, cosparsa di chiodi arrugginiti, pietre taglienti e appuntite, pezzi di vetro.
La gente camminava su quella strada a piedi scalzi.
I chiodi si conficcavano nella carne, molti avevano i piedi sanguinanti.

Le persone però non desistevano:

volevano arrivare in cielo.
Ma ogni passo costava sofferenza e il cammino era lento e penoso.
Ma poi, nel mio sogno, vidi Gesù ché avanzava.
Era anche lui a piedi scalzi.
Camminava lentamente, ma in modo risoluto.

E neppure una volta si ferì i piedi.

Gesù saliva e saliva.
Finalmente giunse al cielo e là si sedette su un grande trono dorato.
Guardava in giù, verso quelli che si sforzavano di salire.
Con lo sguardo e i gesti li incoraggiava.
Subito dopo di lui, avanzava Maria, la sua mamma.
Maria camminava ancora più veloce di Gesù.

Sapete perché?

Metteva i suoi piedi nelle impronte lasciate da Gesù.
Così arrivò presto accanto a suo Figlio, che la fece sedere su una grande poltrona alla sua destra.
Anche Maria si mise ad incoraggiare quelli che stavano salendo e invitava anche loro a camminare nelle orme lasciate da Gesù, come aveva fatto lei.
Gli uomini più saggi facevano proprio così e procedevano spediti verso il cielo.
Gli altri si lamentavano per le ferite, si fermavano spesso, qualche volta desistevano del tutto e si accasciavano sul bordo della strada sopraffatti dalla tristezza.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il ricamo

Il ricamo

Quando ero piccolo mia madre era solita cucire tanto.
Mi sedevo vicino a lei e le chiedevo cosa stesse facendo.

Lei mi rispondeva che stava ricamando.

Osservavo il lavoro di mia madre da un punto di vista più basso rispetto a dove stava seduta lei, cosicché ogni volta mi lamentavo dicendole che dal mio punto di vista ciò che stava facendo mi sembrava molto confuso.
Lei mi sorrideva, guardava verso il basso e gentilmente mi diceva:
“Figlio mio, vai fuori a giocare un po’ e quando avrò terminato il mio ricamo ti metterò sul mio grembo e ti lascerò guardare dalla mia posizione!”
Mi domandavo perché utilizzava dei fili di colore scuro e perché mi sembravano così disordinati visti da dove stavo io.

Alcuni minuti dopo sentivo la voce di mia madre che mi diceva:

“Figlio mio, vieni qua e siediti sul mio grembo.”
Io lo facevo immediatamente e mi sorprendevo e mi emozionavo al vedere i bei fiori o il bel tramonto nel ricamo.
Non riuscivo a crederci; da sotto si vedeva così confuso.

Allora mia madre mi diceva:

“Figlio mio, di sotto si vedeva confuso e disordinato ma non ti rendevi conto che di sopra c’era un progetto.
C’era un disegno, io lo stavo solo seguendo.
Adesso guardalo dalla mia posizione e saprai ciò che stavo facendo!”

Brano tratto dal libro “Il Dio Padre di Gesù.” di Giovanni Maddamma

La parola piangere. Favola & Filastrocca.

La parola piangere.
Favola & Filastrocca.
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Favola
Filastrocca
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“Favola”

 

Questa storia non è ancora accaduta, ma accadrà sicuramente domani.
Ecco cosa dice.
Domani una brava, vecchia maestra condurrà i suoi scolari, in fila per due, a visitare il “Museo del Tempo Che Fu,” dove sono raccolte le cose di una volta che non servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, il tram di Monza, eccetera.
In una vetrinetta un po’ polverosa c’era la parola:

“Piangere.”

Gli scolaretti di Domani lessero il cartellino, ma non capivano, quindi chiesero:
“Signora, che vuol dire?
“È un gioiello antico?
Apparteneva forse agli Etruschi?”
La maestra spiegò che una volta quella parola era molto usata, e faceva male.
Mostrò una fialetta in cui erano conservate delle lacrime:
chissà, forse le aveva versate uno schiavo battuto dal suo padrone, forse un bambino che non aveva casa.

“Sembra acqua!” disse uno degli scolari.

“Ma scottava e bruciava!” rispose la maestra.
“Forse la facevano bollire prima di adoperarla?” chiese ancora uno degli scolari.
Gli scolaretti proprio non capivano, anzi cominciavano già ad annoiarsi.
Allora la buona maestra li accompagnò a visitare altri reparti del Museo dove c’erano da vedere cose più facili come:
L’inferriata di una prigione, un cane da guardia, il tram di Monza, eccetera, tutta roba che nel felice paese di Domani non esisteva più.

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“Filastrocca”

 

Un giorno tutti saremo felici.
Le lacrime, chi le ricorderà?

I bimbi scoveranno
nei vecchi libri
la parola “piangere”
e alla maestra in coro chiederanno:
“Signora, che vuol dire?

Non si riesce a capire”.

Sarà la maestra,
una bianca vecchia
con gli occhiali d’oro,
e dirà loro:
“Così e così”.

I bimbi lì per lì
non capiranno.
A casa, ci scommetto,
con una cipolla a fette
proveranno e riproveranno
a piangere per dispetto
e ci faranno un sacco di risate…

E un giorno tutti in fila,

andranno a visitare
il Museo delle lacrime:
io li vedo, leggeri e felici,
i fiori che ritrovano le radici.

Il Museo non sarà tanto triste:
non bisogna spaventare i bambini.
E poi, le lacrime di ieri
non faranno più male:

è diventato dolce il loro sale.

E la vecchia maestra narrerà:
“Le lacrime di una mamma senza pane…
le lacrime di un vecchio senza fuoco…
le lacrime di un operaio senza lavoro…
le lacrime di un negro frustato
perchè aveva la pelle scura…”
“E lui non disse nulla?”
“Ebbe paura?”
“Pianse una sola volta ma giurò:
una seconda volta
non piangerò”.

I bimbi di domani

rivedranno le lacrime
dei bimbi di ieri:
del bimbo scalzo,
del bimbo affamato,
del bimbo indifeso,
del bimbo offeso, colpito, umiliato…

Infine la maestra narrerà:
“Un giorno queste lacrime
diventarono un fiume travolgente,
lavarono la terra
da continente a continente,
si abbatterono come una cascata:
così, così la gioia fu conquistata”.

Favola e Filastrocca di Gianni Rodari

Una preghiera fatta da un bambino

Una preghiera fatta da un bambino

Un bambino pensando una preghiera, disse così:
“Signore questa notte ti chiedo una cosa speciale…

Trasformami in una televisione,

così che io possa occupare il suo posto.
Mi piacerebbe vivere come vive la televisione di casa mia.
In altre parole avere una stanza speciale per riunire tutti i membri della mia famiglia attorno a me.

Essere preso sul serio quando parlo.

Fa che io sia al centro dell’attenzione così che tutti mi prestino ascolto senza interrompermi né discutere.
Mi piacerebbe provare l’attenzione particolare che riceve la televisione quando qualcosa non funziona…
E tener compagnia a mio papà quando torna a casa, anche quando è stanco dal lavoro.

E che mia mamma, al posto di ignorarmi, mi cerchi quando è sola e annoiata.

E che i miei fratelli e sorelle litighino per poter stare con me…
E che possa divertire tutta la famiglia, anche se a volte non dica niente.
Mi piacerebbe vivere la sensazione di chi tralascia tutto per passare alcuni momenti al mio fianco.
Signore non ti chiedo molto.
Solo vivere come vive qualsiasi televisione.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La mamma ed il bambino (Saper ascoltare)

La mamma ed il bambino (Saper ascoltare)

Una giovane mamma, in cucina, preparava la cena con la mente totalmente concentrata su ciò che stava facendo: preparare le patatine fritte.
Stava lavorando sodo proprio per preparare un piatto che i bambini avrebbero apprezzato molto.
Le patatine fritte erano il piatto preferito dai suoi bambini.
Il bambino più piccolo di quattro anni aveva avuto una intensa giornata alla scuola materna e raccontava alla mamma quello che aveva visto e fatto.

La mamma gli rispondeva distrattamente con monosillabi e borbottii.

Qualche istante dopo si sentì tirare la gonna e udì:
“Mamma!”
La donna accennò di sì col capo e borbottò anche qualche parola.
Sentì altri strattoni alla gonna e di nuovo:

“Mamma.”

Gli rispose ancora una volta brevemente e continuò imperterrita a sbucciare le patate.
Passarono cinque minuti.
Il bambino si attaccò alla gonna della mamma e tirò con tutte le sue forze.
La donna fu costretta a chinarsi verso il figlio.
Il bambino le prese il volto fra le manine paffute, lo portò davanti al proprio viso e disse:

Mamma, ascoltami con gli occhi!”

Ascoltare qualcuno con gli occhi significa dirgli:
“Tu sei importante per me!”
Tutte le cose importanti passano attraverso gli occhi.

Brano tratto dal libro “365 Piccole storie per l’anima.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Gli inutili propositi


Gli inutili propositi

Un adolescente scriveva i suoi propositi chino sul tavolo, mentre la mamma stirava la biancheria.
“Se vedessi qualcuno in procinto di annegare,” scriveva l’adolescente, “mi butterei subito in acqua per soccorrerlo.

Se si incendiasse la casa salverei i bambini.

Durante un terremoto non avrei certo paura a buttarmi tra le macerie pericolanti per salvare qualcuno.
Poi dedicherei la mia vita per aiutare tutti i poveri del mondo…”

La mamma lo interruppe e gli chiese:

“Per piacere, vai a prendere un po’ di pane qui sotto!”
Il ragazzo rispose:
“Mamma, non vedi che piove?”

Brano senza Autore, tratto dal Web