Vedere Dio


Vedere Dio

Una volta un re, convocò tutti i maghi, i sapienti e i sacerdoti del suo regno.
Li minacciò dei castighi più terribili se non gli mostravano Dio.

Quei poveretti si disperavano e si strappavano i capelli senza saper cosa fare,

quando arrivò un pastore che annunciò a tutti di essere in grado di risolvere il problema.
Si affrettarono a presentarlo al re.

Il pastore allora condusse il sovrano su un terrazzo e gli indicò il sole.

“Guardalo!” disse.
Dopo un istante, il re abbassò gli occhi, gridando:

“Vuoi accecarmi?”

“Mio Signore,” disse il pastore, “il sole è solo una piccola cosa del Creatore, neanche una scintilla del suo splendore…
Come puoi pensare di posare gli occhi su Lui in persona?”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero

L’uomo nel pozzo


L’uomo nel pozzo

Un uomo cadde in un pozzo da cui non riusciva a uscire.
Una persona di buon cuore che passava di là disse:
“Mi dispiace davvero tanto per te. Partecipo al tuo dolore!”
Un politico impegnato nel sociale che passava di là disse:
“Era logico che, prima o poi, qualcuno ci sarebbe finito dentro!”

Un pio disse: “Solo i cattivi cadono nei pozzi!”

Uno scienziato calcolò come aveva fatto l’uomo a cadere nel pozzo.
Un politico dell’opposizione si impegnò a fare un esposto contro il governo.
Un giornalista promise un articolo polemico sul giornale della domenica dopo.
Un uomo pratico gli chiese se erano alte le tasse per il pozzo.

Una persona triste disse:

“Il mio pozzo è peggio!”
Un umorista sghignazzò:
“Prendi un caffè che ti tira su!”

Un ottimista disse:

“Potresti star peggio!”
Un pessimista disse:
“Scivolerai ancora più giù!”
Gesù, vedendo l’uomo, lo prese per mano e lo tirò fuori dal pozzo.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

Il fuoco


Il fuoco

Sei persone, colte dal caso nel buio di una gelida nottata, su un’isola deserta, si ritrovarono ciascuna con un pezzo di legno in mano.
Non c’era altra legna nell’isola persa nelle brume del mare del Nord.
Al centro un piccolo fuoco moriva lentamente per mancanza di combustibile.
Il freddo si faceva sempre più insopportabile.
La prima persona era una donna, ma un guizzo della fiamma illuminò il volto di un immigrato dalla pelle scura.

La donna se ne accorse.

Strinse il pugno intorno al suo pezzo di legno.
Perché consumare il suo legno per scaldare uno scansafatiche venuto a rubare pane e lavoro?
L’uomo che stava al suo fianco vide uno che non era del suo partito.
Mai e poi mai avrebbe sprecato il suo bel pezzo di legno per un avversario politico.
La terza persona era vestita malamente e si avvolse ancora di più nel giaccone bisunto, nascondendo il suo pezzo di legno.

Il suo vicino era certamente ricco.

Perché doveva usare il suo ramo per un ozioso riccone?
Il ricco sedeva pensando ai suoi beni, alle due ville, alle quattro automobili e al sostanzioso conto in banca.
Le batterie del suo telefonino erano scariche, doveva conservare il suo pezzo di legno a tutti i costi e non consumarlo per quei pigri e inetti.
Il volto scuro dell’immigrato era una smorfia di vendetta nella fievole luce del fuoco ormai spento.
Stringeva forte il pugno intorno al suo pezzo di legno.
Sapeva bene che tutti quei bianchi lo disprezzavano.
Non avrebbe mai messo il suo pezzo di legno nelle braci del fuoco.

Era arrivato il momento della vendetta.

L’ultimo membro di quel mesto gruppetto era un tipo gretto e diffidente.
Non faceva nulla se non per profitto.
Dare soltanto a chi dà, era il suo motto preferito.
Me lo devono pagare caro questo pezzo di legno, pensava.
Li trovarono così, con i pezzi di legno stretti nei pugni, immobili nella morte per assideramento.
Non erano morti per il freddo di fuori, erano morti per il freddo di dentro.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

Una passeggiata nella foresta


Una passeggiata nella foresta

Durante le vacanze, un uomo era uscito a passeggio in una foresta che si estendeva ai margini del villaggio dove si trovava.
Errò per un paio d’ore e si perse.

Girò a lungo nel tentativo di trovare la strada per tornare al villaggio,

provò tutti i sentieri, ma nessuno lo portava fuori dalla foresta.
Improvvisamente si imbatté in un’altra persona che come lui stava camminando nella foresta e gridò:
“Grazie a Dio c’è un altro essere umano!

Mi può indicare la strada per tornare in paese?”

L’altro uomo gli rispose:
“No, purtroppo anch’io mi sono perso.
Ma c’è un modo per poterci essere d’aiuto:

è quello di dirci quali sentieri abbiamo già provato inutilmente.

Questo ci aiuterà a trovare quella che ci porterà fuori!”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero

Il ramo che volle staccarsi dall’albero!


Il ramo che volle staccarsi dall’albero!

Il castagno allargava la sua chioma su un angolo del giardinetto pubblico ed era profondamente felice.
Ma non tutti, da quelle parti, condividevano la felicità dell’albero.
Se qualcuno avesse avuto un orecchio particolarmente fine, avrebbe udito, quando qualcuno lodava l’albero, una voce, che protestava, stizzita:
“Basta! È un’ingiustizia! Non ne posso più! A lui tutto, e a me niente!”
Chi brontolava così era un ramo.
Un magnifico ramo, in alto, a destra, che scuoteva, con rabbia, le foglie.
“L’albero, sempre l’albero! Ma sono io, che faccio tutto!
Io porto le foglie, porto i ricci che oltretutto pungono, e faccio maturare le castagne!
Quando potrei riposare un po’, le foglie cadono, e resto qui, spogliato, a prendermi tutto il freddo e il gelo dell’inverno, i colpi di vento, la pioggia, e la neve…”
Il ramo era veramente furibondo!
L’albero cercava, invano, di farlo ragionare: lo invitava alla pazienza, alla comprensione.

“Tu sei importantissimo, per me, figliolo!

Sei un magnifico ramo, robusto, e pieno di vita.
Mi sei caro, come tutti gli altri rami!
Le lodi fatte a me, sono dirette anche a te e per tutti i tuoi fratelli!
Che sarei io, senza di voi?”
Ma il ramo scricchiolava cocciuto e inveiva con parole che per buon gusto è meglio non ripetere.
Il povero albero era preoccupato. E con ragione!
Il ramo ribelle, infatti, aveva escogitato un piano di fuga:
se ne sarebbe andato, si sarebbe staccato dall’albero e si sarebbe messo a vivere per conto suo.
Un giorno di Marzo, un vento burlone e irruente si divertiva a mulinare intorno all’albero.
Il ramo decise che era venuto il suo momento!
“Vento, ho bisogno di un favore.” chiese, con una punta di umiltà, che non gli era propria.
“Staccami, dall’albero!”

“Come vuoi…” sibilò il vento.

Il vento prese a girare, sempre più vorticosamente, intorno al ramo, e a scuoterlo, con una furia irresistibile, finché, con uno schianto terribile, il ramo si staccò dal tronco.
“Evviva! Volo!” gridò il ramo, strappato dal vento e sollevato sopra il recinto del giardino.
“Finalmente, sono libero! La mia vita comincia, adesso!”
Il ramo rideva, ed esultava:
neanche le lacrime che scendevano silenziose dalla ferita dell’albero lo commossero!
Portato dal vento, che soffiava violento, con tutte le forze che aveva, volò, oltre il fiume, e atterrò, su un pendio erboso.
“Ora, decido io!” pensò, mentre si sdraiava, dolcemente, nell’erba.
“Dormirò finché voglio e farò quel che mi pare e piace!
Non dovrò più stare sempre appiccicato a quel tronco brutto e rugoso!”
Una formica gli fece il solletico e cercò di cacciarla, come faceva lassù, quando era attaccato all’albero, ma non ci riuscì!
Uno strano torpore, si impadronì di lui: non riusciva più a respirare!

Dopo qualche ora, le sue foglie cominciarono ad appassire.

La linfa, che era la sua vita, e che l’albero, generoso, aveva sempre fatto scorrere in lui, cominciò a mancargli.
Con infinita paura si accorse di essere già incominciato a seccare.
Gli venne in mente l’albero, e capì che, senza di lui, sarebbe morto! Ma era troppo tardi.
Avrebbe voluto piangere, ma non poteva perché, ormai, era solo un inutile ramo secco.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni Elledici.

L’occhio del falegname


L’occhio del falegname

C’era una volta, tanto tempo fa, in un piccolo villaggio, la bottega di un falegname.
Un giorno, durante l’assenza del padrone, tutti i suoi arnesi da lavoro tennero un gran consiglio.
La seduta fu lunga e animata, talvolta anche veemente.
Si trattava di escludere dalla onorata comunità degli utensili un certo numero di membri.
Uno prese la parola:
“Dobbiamo espellere nostra sorella Sega, perché morde e fa scricchiolare i denti.
Ha il carattere più mordace della terra.”

Un altro intervenne:

“Non possiamo tenere fra noi nostra sorella Pialla:
ha un carattere tagliente e pignolo, da spelacchiare tutto quello che tocca.”
“Fratel Martello,” protestò un altro “ha un caratteraccio pesante e violento.
Lo definirei un picchiatore.
E’ urtante il suo modo di ribattere continuamente e dà sui nervi a tutti.
Escludiamolo!”
“E i Chiodi?
Si può vivere con gente così pungente?
Che se ne vadano!
E anche Lima e Raspa.

A vivere con loro è un attrito continuo.

E cacciamo anche Cartavetro, la cui unica ragion d’essere sembra quella di graffiare il prossimo!”
Così discutevano, sempre più animosamente gli attrezzi del falegname.
Parlavano tutti insieme.
Il martello voleva espellere la lima e la pialla questi volevano a loro volta l’espulsione di chiodi e martello, e così via.
Alla fine della seduta tutti avevano espulso tutti.
La riunione fu bruscamente interrotta dall’arrivo del falegname.
Tutti gli utensili tacquero quando lo videro avvicinarsi al bancone di lavoro.

L’uomo prese un asse e lo segò con la Sega mordace.

Lo piallò con la Pialla che spela tutto quello che tocca.
Sorella Ascia che ferisce crudelmente, sorella Raspa dalla lingua scabra, sorella Cartavetro che raschia e graffia, entrarono in azione subito dopo.
Il falegname prese poi i fratelli Chiodi dal carattere pungente e il Martello che picchia e batte.
Si servì di tutti i suoi attrezzi di brutto carattere per fabbricare una culla.
Una bellissima culla per accogliere un bambino che stava per nascere.
Per accogliere la Vita.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Elledici edizioni.

Le Due Anfore


Le Due Anfore

Ogni giorno, un contadino portava l’acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell’asino, che gli trotterellava accanto.
Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua.
L’altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia.
L’anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l’anfora nuova non perdeva l’occasione di far notare la sua perfezione:

“Non perdo neanche una stilla d’acqua, io!”

Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone:
“Lo sai, sono cosciente dei miei limiti.
Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia.
Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota.

Perdona la mia debolezza e le mie ferite.”

Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all’anfora screpolata e le disse:
“Guarda il bordo della strada.”
“Ma è bellissimo! Tutto pieno di fiori!” rispose l’anfora.
“Hai visto? E tutto questo solo grazie a te.” disse il padrone.

“Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada.

Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno.”
La vecchia anfora non lo disse mai a nessuno, ma quel giorno si sentì morire di gioia.
Siamo tutti pieni di ferite e screpolature, ma se lo vogliamo, possiamo fare meraviglie con le nostre imperfezioni.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero

I due passerotti


I due passerotti

Due passerotti se ne stavano beatamente a prendere il fresco sulla stessa pianta, che era un salice.
Uno si era appollaiato sulla cima del salice, l’altro in basso su una biforcazione dei rami.
Dopo un po’, il passerotto che stava in alto, tanto per rompere il ghiaccio, dopo la siesta disse:
“Oh, come sono belle queste foglie verdi!”
Il passerotto che stava in basso la prese come una provocazione.

Gli rispose in modo seccato:

“Ma sei cieco? Non vedi che sono bianche!”
E quello di sopra, indispettito:
“Tu sei cieco! Sono verdi!”
E l’altro dal basso con il becco in su:
“Ci scommetto le piume della coda che sono bianche.

Tu non capisci nulla! Sei matto!”

Il passerotto della cima si sentì bollire il sangue e senza pensarci due volte si precipitò sul suo avversario per dargli una lezione.
L’altro non si mosse.
Quando furono vicini, uno di fronte all’altro, con le piume del collo arruffate per l’ira, prima di cominciare il duello ebbero la lealtà di guardare nella stessa direzione, verso l’alto.
Il passerotto che veniva dall’alto emise un “oh” di meraviglia:
“Guarda un po’ che sono bianche!”

Disse però al suo amico:

“Prova un po’ a venire lassù dove stavo prima!”
Volarono sul più alto ramo del salice e questa volta dissero in coro:
“Guarda un po’… sono verdi.”

Non giudicare nessuno se prima non hai camminato un’ora nelle sue scarpe.

Brano tratto da “Quaranta storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Casa Editrice Elledici.

L’incidente


L’incidente

Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile.
Guidava con molta attenzione perché l’auto che stava usando era nuova fiammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello.
Ad un incrocio particolarmente affollato, la donna ebbe un attimo di indecisione e con il parafango andò ad urtare il paraurti di un’altra macchina.

La giovane donna scoppiò in lacrime.

Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito?
Il conducente dell’altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto.
La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone.
Cadde fuori un pezzo di carta.
In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole:
“In caso di incidente… ricorda, tesoro, io amo te, non la macchina!”

Lo dovremmo ricordare tutti, sempre.

Le persone contano, non le cose.
Quanto facciamo per le cose, le macchine, le case, l’organizzazione, l’efficienza materiale!
Se dedicassimo lo stesso tempo e la stessa attenzione alle persone, il mondo sarebbe diverso.
Dovremmo ritrovare il tempo per ascoltare, guardarsi negli occhi, piangere insieme, incoraggiarsi, ridere, passeggiare…

Ed è solo questo che porteremo con noi davanti a Dio.

Noi e la nostra capacità d’amare.
Non le cose, neanche i vestiti, neanche questo corpo!

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

L’albero e il bambino


L’albero e il bambino

C’era una volta un albero che amava un bambino.
Il bambino andava a visitarlo tutti i giorni.
Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta.
Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami.
Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.
Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna nanna.
Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore.
L’albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse:
“Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice.”

“Voglio dei soldi.

Sono troppo grande per arrampicarmi sugli alberi e per giocare.” disse il bambino.
“Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi.
Voglio dei soldi.
Puoi darmi dei soldi?”
“Mi dispiace,” rispose l’albero, “ma io non ho dei soldi.
Ho solo foglie e frutti.
Prendi i miei frutti, bambino mio, vai a venderli in città.
Così avrai dei soldi e sarai felice.”
Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via.
E l’albero fu felice.
Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare…
E l’albero divenne triste.
Poi un giorno il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse:
“Avvicinati bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice.”
“Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi.” rispose il bambino “Voglio una casa che mi ripari.” continuò, “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa.

Puoi darmi una casa?”

“Io non ho una casa,” disse l’albero “la mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa.
Allora sarai felice.”
Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa.
E l’albero fu felice.
Per molto tempo il bambino non venne.
Quando tornò, l’albero era così felice che riusciva a mala pena a parlare.
“Avvicinati, bambino mio,” mormorò “vieni a giocare.”
“Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare.” disse il bambino.
“Voglio una barca per fuggire lontano di qui.
Tu puoi darmi una barca?”
“Taglia il mio tronco e fatti una barca;” disse l’albero, “così potrai andartene ed essere felice.”
Allora il bambino tagliò il tronco e si fece una barca per fuggire.
E l’albero fu felice… ma non del tutto.
Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.
“Mi dispiace, bambino mio,” disse l’albero “ma non mi resta più niente da donarti…

Non ho più frutti.”

“I miei denti sono troppo deboli per dei frutti.” disse il bambino.
“Non ho più rami,” continuò l’albero, “non puoi più dondolarti.”
“Sono troppo vecchio per dondolarmi sui rami.” disse il bambino.
“Non ho più tronco.” disse l’albero, “Non puoi più arrampicarti.”
“Sono troppo stanco per arrampicarmi.” disse il bambino.
“Sono desolato.” sospirò l’albero.
“Vorrei tanto donarti qualcosa… ma non ho più niente.
Sono solo un vecchio ceppo.
Mi rincresce tanto…”
“Non ho più bisogno di molto, ormai.” disse il bambino.
“Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi.
Mi sento molto stanco.”
“Ebbene,” disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva, “un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi.
Avvicinati, bambino mio, siediti.
Siediti e riposati.”
Così fece il bambino.
E l’albero fu felice.

Brano di Shel Silverstein