L’acqua santa

L’acqua santa

Di buon mattino, un curato di campagna, accompagnato da due chierichetti insonnoliti e svogliati, si recava a benedire case e campi.
La benedizione, rigorosamente in lingua latina, era composta da antichi riti e preghiere, in uso presso “Sancta Romana Ecclesia” di quell’epoca.

Il ragazzo più robusto portava un cestello per la raccolta delle uova,

date come offerta dai contadini, mentre il ragazzo più piccolo portava il secchiello dell’acqua santa con l’aspersorio, per il rituale della benedizione.
Dopo aver percorso metà del tragitto previsto, che doveva concludersi nel casale del chierichetto più piccolo dove ci sarebbe stata un’abbondante ed attesa colazione ristoratrice, questo inciampò su un sasso rovesciando il liquido benedetto.

Cadde poiché il terreno era diventato scivoloso a causa di una recente pioggia.

“Per fortuna le preziose uova sono salve!” fu la reazione immediata del sacerdote che invitò l’accidentato a ripulirsi la tonaca come meglio poteva.
Lo inviò a riempire il secchiello con l’acqua del vicino fosso e di continuare il giro con rinnovata fede.
Li incitò a mettere come garanzia la loro innocenza, ricordando loro che nulla avviene mai per caso.

Gli spiegò, inoltre, che una benedizione, anche da sola, passa sette muri.

Durante l’estate successiva una rovinosa grandinata colpì il paese del parroco in questione, risparmiando proprio la zona benedetta con l’acqua del fosso.
Quest’avvenimento rimase impresso nella mente del chierichetto più piccolo che, dopo discernimento e molti studi, divenne anche lui sacerdote, avendo visto nella caduta accidentale il nascere della sua chiamata vocazionale.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’aeroplanino di carta

L’aeroplanino di carta

Qualche mese fa un ingegnere in pensione trovò un aeroplanino di carta planato nel suo terrazzo.
Sulle sue ali avevano scritto la parola “ciao” e disegnato, anche, un arcobaleno.
Lo ritrovò in pieno lockdown, quando a causa del coronavirus che ha fermato l’Italia,

tutti erano stati costretti a vivere “reclusi” dentro casa.

L’uomo pensò che il ritrovamento di questo aeroplanino fosse di buon auspicio e lo portò dentro casa.
Il giorno dopo ne trovò un altro, quello successivo un altro ancora.
Ogni aeroplanino aveva scritte ben auguranti e bei disegni.
Incuriosito, si appostò sul terrazzo per scoprire da dove provenissero gli aereoplanini e chi fosse il costruttore.
Essendo appassionato di aeromodellismo, li trovava particolarmente originali ed ingegnosi.

Fu fortunato poiché, dalla palazzina di fronte, vide un ragazzino lanciarlo.

I loro sguardi si incrociarono e, immediatamente dopo, si scambiarono un reciproco saluto con le mani.
I lanci divennero una costante, con relativi messaggi.
Il ragazzino comunicò all’anziano signore, tra l’altro, di essere un profugo Siriano, orfano di padre, aiutato dalla Caritas.
Un altro giorno gli scrisse:
“No computer, no scuola.”

L’ingegnere, leggendo, si commosse.

Non appena fu possibile uscire di casa, regalò al ragazzino un computer con una pennetta per collegarsi ad internet che, in questo modo, riuscì a seguire le lezioni con tutti suoi compagni.
Durante i primi giorni di giugno, a causa del traffico e dello smog, gli aeroplanini di carta non planavo più con la consueta precisione finché il ragazzo smise definitivamente.
L’ingegnere, orgoglioso della singolare esperienza con il ragazzino, segnalò la cosa alla scuola.
Al termine degli esami di terza media, il ragazzo fu promosso con il massimo dei voti.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’amicizia (Eliseo e Gedeone)

L’amicizia (Eliseo e Gedeone)

Eliseo e Gedeone erano stati grandi amici fin da bambini.
Ognuno dei due considerava l’altro come un fratello ed in cuor suo ognuno sapeva che non c’era nulla che non fosse disposto a fare per l’amico.
Alla fine si presentò l’occasione di testimoniare la profondità della loro amicizia.
Ecco cosa accadde.
Un giorno Gedeone fu arrestato dalla polizia.
Senza alcuna prova lo accusarono di essere una spia al servizio del nemico.
Un giudice distratto lo condannò a morte.
“Hai un ultimo desiderio?” gli chiese il re, prima di firmare l’ordine di esecuzione.
“Si, lasciami andare a casa per il tempo necessario di dire addio a mia moglie e ai miei figli e per sistemare le faccende domestiche!”
“Vedo che mi ritieni stupido!” disse il re, ridendo, “Se ti lascio andare tu non tornerai più!”

“Ti lascerò un pegno, una garanzia sicura!” spiegò Gedeone.

“Che tipo di pegno potresti lasciarmi che mi renda certo del tuo ritorno?” chiese il re.
In quel momento Eliseo, che era stato per tutto il tempo in silenzio a fianco dell’amico, fece un passo avanti.
“Sarò io il suo pegno!” disse.
“Tienimi qui come tuo prigioniero, fino a quando Gedeone non ritorni.
La nostra amicizia ti è ben nota.
Puoi star certo che Gedeone ritornerà fino a che mi trattieni qui!”
Il re studiò in silenzio i due amici.
“Molto bene!” disse alla fine, “Ma se vuoi veramente prendere il posto del tuo amico, devi accettare la sentenza.
Se Gedeone non farà ritorno, tu morirai al suo posto!”
“Manterrà la sua parola!” replicò Eliseo, “Non ho alcun dubbio!”
Gedeone fu lasciato libero di andare e Eliseo fu gettato in prigione.
Dopo molti giorni, poiché Gedeone non si presentava, la curiosità del re ebbe il sopravvento e il tiranno si recò nelle prigioni per vedere se Eliseo fosse pentito di aver fatto un simile scambio.
“Il tuo tempo è quasi scaduto!” disse il re sogghignando, “Sarebbe inutile chiedere pietà.
Sei stato uno stupido a fidarti della promessa del tuo amico.

Hai creduto veramente che avrebbe sacrificato la sua vita per te?”

“Ha incontrato qualche impedimento!” rispose deciso Eliseo, “I venti gli avranno impedito di navigare, o forse avrà avuto dei contrattempi lungo la strada; ma, nei limiti delle umane possibilità, sarà qui in tempo.
Confido sulla sua parola tanto quanto sulla mia stessa esistenza!”
Il re fu colpito dalla fiducia del prigioniero.
“Lo vedremo presto!” disse, e lasciò Eliseo nella cella.
Il giorno fatale arrivò.
Eliseo fu prelevato dalla prigione e portato davanti al boia.
Il re lo salutò con un sorriso compiaciuto.
“Sembra che il tuo amico non sia tornato!” gli disse ridendo, “Cosa pensi di lui adesso?”
“È mio amico!” rispose Eliseo, “Ho fiducia in lui!”
Mentre stava parlando, le porte si spalancarono e Gedeone entrò vacillando.
Era pallido e ferito e stentava quasi a parlare per la stanchezza.

Abbracciò l’amico.

“Grazie a Dio, sei salvo!” ansimò, “Sembra quasi che tutto stesse cospirando contro di noi.
La mia nave è naufragata nella tempesta, poi sono stato attaccato dai briganti lungo la strada.
Ma non ho mai smesso di sperare, e alla fine ce l’ho fatta.
Sono pronto a subire la mia condanna a morte!”
Il re ascoltò le sue parole con stupore e i suoi occhi e il suo cuore si aprirono.
Era impossibile per lui resistere alla forza di simile fermezza.
“La condanna è revocata!” dichiarò, “Non avrei mai pensato esistesse un’amicizia così leale e fiduciosa.
Mi avete dimostrato quanto fossi in errore, ed è giusto che siate ricompensati con la libertà.
Ma in cambio vi chiedo un grande favore!”
“”Di che favore si tratta?” chiesero i due amici.
“Prendetemi come terzo amico!”

Brano senza Autore

Melodia ed il cuginetto

Melodia ed il cuginetto

C’era una volta una bambina di nome Melodia, che un brutto giorno fu colpita da una strana malattia che le provocò una continua e inesorabile diminuzione della vista.
I migliori professori d’oculistica, nonostante esami approfonditi e consulti, non riuscivano a scoprire la causa della malattia.
I genitori della bambina erano disperati.
Melodia portava ormai un paio di occhiali dalle lenti spesse e pesanti come fondi di bottiglia.
Ogni tanto per riposare un po’ il naso se li toglieva e li appioppava sul naso di Billo, il suo più caro amico.
Billo era un grosso orsacchiotto di peluche marrone che Melodia abbracciava addormentandosi e a cui confidava tutti i suoi segreti.
Ma una sera, quando ebbe i pesanti occhiali sul naso, Billo cominciò a parlare:
“Sono il mago che può guarire i tuoi occhi.

Tu sai perché i tuoi occhi non vogliono più vedere la luce?”

“Non lo so.
Il mago sei tu.
Dimmelo tu!” disse la bambina
“Queste cose le devi scoprire da sola, Melodia.
Sforzati di ricordare:
è successo qualcosa recentemente che può aiutarti a capire il perché della malattia?”
La bambina si concentrò, frugando nella memoria, ma non trovava nulla di significativo.

“Provaci ancora, Melodia!” la incitava Billo.

Dopo qualche ora di intensa riflessione, improvvisamente Melodia si ricordò.
Tre mesi prima, una domenica pomeriggio, durante una visita degli zii giocava con il cuginetto Nicola.
Indispettito da una frase di Melodia, Nicola aveva fatto a pezzi la bambolina di porcellana che la bambina teneva sul tavolo dei compiti.
Melodia ne aveva fatto una tragedia:
lacrime e strilli, brutte parole.
Alla fine, Melodia aveva rabbiosamente gridato al cugino:
“Non voglio vederti mai più!”
Da quel giorno la sua vista aveva incominciato ad abbassarsi.
Lo spiegò a Billo, che concluse:

“Allora sai che cosa devi fare…”

“Sì, lo so.
Devo perdonare, come mi ha insegnato la mamma!” disse la bambina
La bambina si sedette al tavolo e scrisse una lettera al cugino.
Le parole erano corrette solo più o meno, ma il senso era chiaro.
“Caro Nicola, ti perdono con tutto il cuore.
Ho dimenticato quello che è accaduto e ti voglio bene come prima…”
Da quel momento, la vista di Melodia ridivenne perfetta.
E gli occhiali dalle grosse lenti finirono … finirono … E chi si ricorda più dove finirono quegli orribili occhiali?

Brano tratto dal libro “Tante storie per parlare di Dio.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Amiche del cuore

Amiche del cuore

“Per piacere, resta!” imploravo.
Ann era la mia migliore amica, l’unica ragazzina del vicinato, e non volevo che andasse via.
Stava seduta sul mio letto, con gli occhi blu privi di espressione.
“Mi annoio!” disse arrotolandosi gli spessi riccioli rossi intorno a un dito.
Era venuta a giocare solo mezz’ ora prima.
“Per piacere, non andare!” chiesi supplichevole, “Tua mamma ha detto che potevi restare per un’ ora!”
Ann fece per alzarsi, poi vide un paio di mocassini indiani in miniatura sul mio comodino.
Con le loro perline dai colori vivaci sulla morbida pelle, quei mocassini erano la cosa che mi era più preziosa.
“Rimarrò se me li dai!” disse Ann.

Aggrottai le sopracciglia.

Non potevo immaginare di separarmi da quei mocassini.
“Ma me li ha dati la zia Reba!” protestai.
Mia zia era stata una donna bella e gentile, e io l’adoravo.
Non era mai troppo occupata per dedicarmi un po’ di tempo.
Ci inventavamo storie buffe e ridevamo tanto.
Il giorno in cui era morta, avevo pianto per ore sotto una coperta, incapace di credere che non l’avrei più rivista.
In quel momento, mentre tenevo con cura i mocassini nella mano, ero invasa dal dolce ricordo di zia Reba.
“Andiamo.” incitava Ann, “Sono la tua migliore amica!”
Come se ci fosse bisogno di ricordarmelo!
Non so che cosa mi prese, ma desideravo più di ogni altra cosa avere qualcuno che giocasse con me.
Lo volevo così tanto che porsi i mocassini ad Ann!
Dopo che li ebbe riposti in tasca, andammo in bicicletta sul vialetto per diverse volte e presto fu tempo per lei di tornare a casa.
Sconvolta per quello che avevo fatto, non avevo comunque voglia di giocare.

Quella sera sostenni di non avere fame e andai a letto senza cena.

Una volta nella mia stanza, iniziai davvero a sentire la mancanza dei mocassini!
Dopo che la mamma mi ebbe rimboccato le coperte e spento la luce, mi chiese cosa ci fosse che non andasse.
Le raccontai tra le lacrime di come avessi tradito la memoria di zia Reba e di quanto mi sentissi in colpa.
La mamma mi abbracciò con calore, ma tutto quello che mi disse fu:
“Bene, immagino che dovrai decidere cosa fare.”
Le sue parole non mi furono d’aiuto.
Sola nel buio, cercai di chiarirmi le idee.
“La legge dei bambini dice che non devi dare una cosa e poi riprendertela.” mi dicevo, “Ma è stato un affare conveniente?
Perché ho permesso ad Ann di giocare con i miei sentimenti?
Ma soprattutto, Ann è davvero la mia migliore amica?”
Decisi che cosa avrei fatto.
Mi agitai e mi rivoltai per tutta la notte, non vedendo l’ora che si facesse giorno.
A scuola, il giorno seguente, affrontai Ann.
Trassi un profondo respiro e le chiesi di rendermi i mocassini.

Sbarrò gli occhi e mi guardò a lungo.

“Per piacere!” pensavo, “Per piacere!”
“Okay.” disse infine, tirando fuori dalla tasca i mocassini, “Tanto non mi piacevano.”
Fui sopraffatta da una sensazione di sollievo.
Dopo qualche tempo io e Ann smettemmo di giocare insieme.
Scoprii nei dintorni dei bambini che non erano niente male, e spesso mi invitavano a giocare a softball.
Mi feci anche nuove amiche in altri quartieri.
Nel corso degli anni, ho avuto altre amiche del cuore.
Ma non ho più supplicato per la loro compagnia.
Sono arrivata a capire che gli amici sono persone che vogliono trascorrere il tempo con te, senza chiedere niente in cambio.

Brano di Mary Beth Olson

Il bimbo che curava il padre

Il bimbo che curava il padre

Il signor Cesare era molto abitudinario.
Ogni domenica mattina si alzava tardi, girellava per casa in pigiama e alle undici si radeva la barba, lasciando aperta la porta del bagno.
Quello era il momento atteso da Francesco, che aveva solo sei anni, ma mostrava già molta inclinazione per la medicina e la chirurgia.
Francesco prendeva il pacchetto del cotone idrofilo, la bottiglietta dell’alcool denaturato, la busta dei cerotti, entrava in bagno e si sedeva sullo sgabello ad aspettare.

“Che c’è?” domandava il signor Cesare, insaponandosi la faccia.

Gli altri giorni della settimana si radeva col rasoio elettrico, ma la domenica usava ancora, come una volta, il sapone e le lamette. “Che c’è?”
Francesco si torceva sul seggiolino, serio serio, senza rispondere.
“Dunque?” chiedeva ancora il padre.
“Beh,” diceva Francesco, “può darsi che ti tagli; e io ti farò la medicazione!”

“Già!” diceva il signor Cesare.

“Ma non tagliarti apposta come domenica scorsa,” diceva Francesco, severamente, “altrimenti non vale!”
“Sicuro!” diceva il signor Cesare.
Ma a tagliarsi senza farlo apposta non ci riusciva.
Tentava di sbagliare senza volerlo, ma è difficile e quasi impossibile.

Faceva di tutto per essere disattento, ma non poteva.

Finalmente, qui o là, il taglietto arrivava e Francesco poteva entrare in azione.
Asciugava la stilla di sangue, disinfettava, attaccava il cerotto.
Così ogni domenica il signor Cesare regalava una stilla di sangue a suo figlio, e Francesco era sempre più convinto di avere un padre distratto.

Brano tratto dal libro “Sono un bullo, quindi esisto. I volti della violenza nella ricerca della felicità.” di Margherita Chiarugi e Sergio Anichini

La rete da pesca

La rete da pesca

Il fiordo era immerso nella profonda tranquillità della notte artica.
L’acqua sciabordava leggera sulla spiaggia.
Avvolto dal profumato tepore della sua casa di legno, Hans il pescatore tesseva la rete della sua prossima stagione di pesca.
Era solo nell’angolo del camino.
La sua dolce sposa Ingrid riposava nel piccolo cimitero di fianco alla chiesa.

Improvvisamente però risuonarono fresche risate gioiose.

La porta si aprì per lasciar passare la bionda Guendalina, la sua carissima figlia, che teneva per mano il fratellino Eric.
“Guendalina, ora sei in vacanza.
Vuoi prendere il mio posto a intrecciare la rete da pesca nuova mentre io vado a riparare la barca?” chiese il padre.
“Oh sì, papà!” rispose allegramente la bambina.
Le ore passavano.
Guendalina lavorava di buona lena, maglia dopo maglia, nodo dopo nodo.
Ma i giorni si aggiungevano ai giorni.
La corda era scabra.
L’appretto per impermeabilizzarla era ruvido e le mani facevano male.

Le sue piccole amiche si sporgevano dalla porta:

“Guendalina, vieni a giocare con noi!”
E le maglie si allentavano sempre di più, i nodi erano sempre meno stretti, la corda sempre meno impermeabilizzata.
Arrivò la primavera.
Il fiordo s’illuminò ai primi raggi del sole.
La pesca riprese.
Tutto fiero del lavoro della sua figlia carissima, Hans il pescatore imbarcò la sua rete da pesca nuova sul suo fidato vecchio battello.
“Vieni con me, piccolo Eric, per la nostra prima uscita!”
Pieno di gioia il ragazzino saltò a bordo.
La barca scivolò nell’acqua.
La rete affondò nelle onde verdazzurre.
Eric batteva le mani vedendo i pesci argentati saltare e guizzare nella rete ben piena.
“Una pesca fantastica!
Aiutami a tirare su la rete, figliolo!”

Ed Eric tirava, tirava con tutte le sue forze.

Ma vinto dal peso, pluf! piombò in acqua, proprio in mezzo alla rete.
“Non è niente!” pensò papà Hans, issando velocemente la rete a bordo.
“La mia rete è solida!
E la mia Guendalina che l’ha tessuta con le sue mani:
Eric verrà su con i pesci!”
La rete uscì dall’acqua leggera.
Ahimé, al fondo aveva solo un grande squarcio…
I nodi stretti male si erano allentati.
Le maglie mal fissate si erano aperte.
E il piccolo Eric riposava ormai in fondo al fiordo.
“Ah, se avessi intrecciato ogni maglia con amore!” piangeva Guendalina.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Mary Beth Olson

Mary Beth Olson autrice del Brano “Amiche del cuore.” ▶Home Bruno Ferrero Michele Bruno Salerno Autori con alcuni Brani Autori con un solo Brano Brani…

Margherita Chiarugi e Sergio Anichini

Margherita Chiarugi e Sergio Anichini autori del brano “Il bimbo che curava il padre.” tratto dal libro “Sono un bullo, quindi esisto. I volti della…

L’imbuto multiuso

L’imbuto multiuso

Da una piccola vigna posta al sole, coltivata da generazioni, si otteneva un ottimo vino.
Abatino era molto orgoglioso della sua vigna e del vino, ma, nell’ultimo periodo aveva iniziato ad abusarne, con la scusante che fosse un’annata eccezionale.
In famiglia effettuavano la potatura verde (una tecnica che prevede di togliere i grappoli piccoli lasciando quelli più idonei ad una maturazione omogenea),

che dava come risultato un vino dolce, liquoroso e di alta gradazione.

Il medico di famiglia, chiamato dalla moglie di Abatino per sopraggiunti problemi di salute del marito, diagnosticò ad Abatino un principio di cirrosi epatica.
L’unica cura che gli consigliò fu la drastica riduzione del nettare di Bacco.
La soluzione proposta dal medico, però, risultò di difficile applicazione dato il carattere dell’uomo, che non voleva, in nessun modo, rinunciare al frutto tentacolare delle sue fatiche.

Il dottore, nel congedarsi, disse alla moglie:

“Prova a farlo eterno, cioè aggiungi gradatamente dell’acqua alla caraffa del vino durante i pasti e, inoltre, fai in modo che non si possa spillare dalla botte.
Siccome non potete chiudere la cantina, visto che la usate sia come magazzino che come dispensa, porta via sia i bicchieri che le scodelle.”
La donna seguì i consigli del medico,

ma ogni sera Abatino risultava lo stesso allegro e alticcio.

Tutto ciò risulto per lei un mistero, così decise di appostarsi dietro una tenda divisoria, per capire cosa stesse succedendo.
Ad un certo punto, durante la serata, vide entrare il marito, prendere l’imbuto e bere direttamente dalla botte.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno