Il segreto della bilancia

Il segreto della bilancia

Un uomo gravemente ammalato fu accolto in una comunità e messo in una grande stanza insieme a molti altri ammalati.
Ma poco dopo essere deposto sul suo giaciglio, chiamò a gran voce il superiore.
“In che luogo mi avete portato?” protestò, “Le persone che ho intorno ridono e scherzano come bambini!
Non sono certe ammalate come me!”
“A dire la verità lo sono molto più di lei!” rispose il superiore, “Ma hanno scoperto un segreto, che oggi pochissimi conoscono o in cui, pur conoscendo, non credono più.”

“Quale segreto?” domandò l’uomo.

“Questo!” rispose un anziano dal letto confinante.
Estrasse dal comodino una piccola bilancia, prese un sassolino e lo depose su un piatto; subito l’altro si alzò.
“Che stai facendo?” chiese l’uomo.
“Ti sto mostrando il segreto!
Questa bilancia rappresenta il legame che esiste fra uomo e uomo.

Il sassolino è il tuo dolore che ora ti abbatte.

Ma mentre abbatte te, solleva l’altro piatto della bilancia permettendo ad un altro di gioire.
Gioia e dolore si tengono sempre per mano.
Ma bisogna che il dolore sia offerto, non tenuto per sé; allora fa diventare come bambini e fa fiorire il sorriso anche in punto di morte.”
“Nessuna scienza giustifica quello che tu dici!” fu la riflessione dell’uomo.
“Appunto per questo c’è in giro tanto dolore vissuto con amarezza.

Qui non è questione di scienza ma di fede.

Perché non entri anche tu nella bilancia dell’amore?”
L’uomo accettò la strana proposta.
E fu così che quando guarito, rivisse istanti di gioia, non poté non pensare alla sofferenza degli altri.
E si sentì legato agli uomini di tutto il mondo da un sottile filo d’oro.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’uomo più organizzato al Mondo

L’uomo più organizzato al Mondo

C’era una volta un uomo che si vantava di essere l’uomo più organizzato del mondo.
Non lasciava mai nulla al caso.
Mai.
Al mattino, quando doveva alzarsi aveva la necessità di trovare i vestiti da indossare,

che erano sparsi per casa.

Gli pesava talmente tanto che alla sera, prima di coricarsi, lo spaventava già la sola idea di doverlo fare il mattino seguente.
Ma lui era l’uomo più organizzato del mondo, così elaborò una soluzione.
Una sera prese carta e penna e si segnò, dove avesse lasciato, ogni singolo capo di vestiario.

Al mattino l’uomo si svegliò.

Tutto baldanzoso, prese il foglio, e lesse:
“Il berretto, si trova là!” e lo prese.
“I pantaloni, sono messi lì!” e li prese.
E così via, finché non ebbe recuperato tutto.

In quell’istante lo folgorò un pensiero:

“Già: ma io, dove sono?”
Cerca, cerca…
L’uomo non si trovò.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Lettera di una moglie al marito con una risposta esilarante

Lettera di una moglie al marito con una risposta esilarante

La moglie scrive:

Caro marito, ti scrivo questa lettera per dirti che ti lascio per qualcosa di meglio.
Sono stata una brava moglie per te per sette anni e non devo dimostrartelo.
Queste due ultime settimane sono state un inferno.
Il tuo capo mi ha chiamato per dirmi che oggi ti sei licenziato e questa è stata solo la tua ultima cazzata.
La settimana scorsa sei tornato a casa e non hai notato che ero stata a farmi i capelli e le unghie, che avevo cucinato il tuo piatto preferito ed indossavo una nuova marca di lingerie.

Sei tornato a casa e hai mangiato in due minuti, e poi sei andato subito a dormire dopo aver guardato la partita.

Non mi dici più che mi ami, non mi tocchi più.
Che tu mi stia prendendo in giro o non mi ami più, qualsiasi cosa sia, io ti lascio.
Buona fortuna!
Firmato: la tua ex moglie
P.S. Se stai cercando di trovarmi, non farlo:
tuo fratello e io stiamo andando a vivere a Rimini insieme.

Il marito risponde:

Cara ex moglie, niente ha riempito la mia giornata come il ricevere la tua lettera.
È vero che io e te siamo stati sposati per sette anni, sebbene l’ideale di brava moglie, a patto che esista, sia molto lontano da quello che tu sei stata.
Guardo lo sport così, tanto per cercare di affogarci i tuoi continui rimproveri.
Va così male che non può funzionare.
Ho notato quando ti sei tagliata tutti i capelli la scorsa settimana, e la prima cosa che ho pensato è stata:

“Sembri un uomo!”

Mia madre mi ha insegnato a non dire nulla se non si può dire niente di carino.
Hai cucinato il mio piatto preferito, ma forse ti sei confusa con mio fratello, perché ho smesso di mangiare maiale sedici anni fa.
Sono andato a dormire quando tu indossavi quella nuova lingerie perché l’etichetta del prezzo era ancora attaccata:
ho pregato fosse solo una coincidenza il fatto di aver prestato a mio fratello 50 euro l’altro giorno e che la tua lingerie costasse 49,99 euro.
Nonostante tutto questo, ti amavo ancora e sentivo che potevamo uscirne.
Così quando ho scoperto che avevo vinto alla lotteria 10 milioni di euro, mi sono licenziato e ho comprato due biglietti per la Giamaica.

Ma quando sono tornato tu te ne eri andata.

Penso che ogni cosa succeda per una precisa ragione.
Spero tu abbia la vita piena che hai sempre voluto.
Il mio avvocato ha detto, vista la lettera che hai scritto, che non avrai un centesimo da me.
Abbi cura di te!
Firmato: ricco come il demonio e libero.
P.S. Non so se te l’ho mai detto ma mio fratello, prima di chiamarsi Carlo…
si chiamava Carla: spero che questo non sia un problema.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Le rose in regalo

Le rose in regalo

Due monaci coltivavano rose.
Il primo si perdeva nella contemplazione della bellezza e del profumo delle sue rose.

Il secondo tagliava le rose più belle e le donava ai passanti.

“Ma che fai?” lo rimproverava il primo, “Come puoi privarti così della gioia e del profumo delle tue rose?”
“Le rose lasciano molto profumo sulle mani di chi le regala!”

rispose pacatamente il secondo.

C’è una gioia incredibile nel donare.
E anche un buon guadagno.

Brano tratto dal libro “365 piccole storie per l’anima.” di Bruno Ferrero

Innamorati di lei

Innamorati di lei

Forse non ha le gambe più belle del mondo, non ha i capelli sempre perfetti, non è sempre impeccabile.
Ma credimi, innamorati di lei.
E non innamorarti delle cose comuni, di quelle che puoi amare in tutte, il sorriso, gli occhi, il modo di camminare.

Innamorati piuttosto del suo arrossire quando le sei vicino.

Innamorati della sua timidezza, del suo nascondere il viso nella sciarpa quando si sente di troppo, del suo stringersi nelle spalle quando ha freddo.
Innamorati della sua espressione dolce quando ti guarda, e del sorriso che le viene spontaneo quando le parli.

Innamorati di lei quando si perde nei suoi pensieri,

innamorati di lei quando è allegra e ha voglia di ridere e scherzare, ma innamorati di lei soprattutto nei suoi momenti no, nei suoi momenti tristi e solitari.
Innamorati di lei quando non vorrà raccontarti del suo passato, e di quando invece darà libero sfogo ai suoi ricordi, soprattutto a quelli dolorosi, quelli che hanno lasciato una ferita che ancora nessuno ha curato.

Innamorati di lei perché sarà una battaglia ogni volta,

perché passerete giornate intere a litigare per poi ritrovarvi stanchi la notte a dormire abbracciati.
Perché lei non è abituata all’amore ma quando lo farà, credimi, ti amerà più di chiunque altra persona.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Due grandi amori

Due grandi amori

Dicono che durante la nostra vita abbiamo due grandi amori.
Uno con il quale ti sposerai o vivrai per sempre, può essere il padre o la madre dei tuoi figli:

con questa persona otterrai la massima comprensione per stare il resto della tua vita insieme.

E dicono che c’è un secondo grande amore, una persona che perderai per sempre.
Qualcuno con cui sei nato collegato, così collegato, che le forze della chimica scappano dalla ragione e ti impediranno sempre di raggiungere un finale felice.

Fino a che un giorno smetterai di provarci, ti arrenderai e cercherai un’altra persona che finirai per incontrare.

Però ti assicuro che non passerà una sola notte senza aver bisogno di un altro suo bacio, o anche di discutere una volta in più.
Tutti sanno di chi sto parlando, perché mentre stai leggendo queste righe,

il suo nome ti è venuto in mente.

Ti libererai di lui o di lei e smetterai di soffrire, finirai per incontrare la pace, però ti assicuro che non passerà un giorno in cui non desidererai che sia qui per disturbarti.
Perché a volte si libera più energia discutendo con chi ami, che facendo l’amore con qualcuno che apprezzi.

Brano tratto dal libro “El Zahir.” Di Paulo Coelho

L’ortaggio migliore del minestrone

L’ortaggio migliore del minestrone

Maria Lucia era una bambina davvero graziosissima e dolcissima.
Aveva un visino tondo tondo, due guanciotte morbidissime, capelli di un castano luminoso, occhi di un verde che ispirava grande tranquillità e due manine di velluto.

Un giorno ricevette dalla sua famiglia un compito specialissimo:

preparare ed imboccare ogni settimana al fratellino, di un anno più piccolo di lei, un minestrone con ingredienti magici, che si vendevano al mercato anche a poco prezzo e che avrebbero fatto diventare quello scalmanato un angioletto.

La piccola Lucia però fece tutto di malumore,

non coccolò mai il fratellino nell’ imboccarlo poiché perse sempre la pazienza, in quanto il piccolo era davvero irrequieto.
Un giorno però quell’ amore di bambina decise di interrogarsi per migliorare davvero la situazione,

poiché il fratellino non era tanto cambiato.

Aveva forse trascurato e dimenticato troppe volte quelli che erano gli ingredienti migliori del minestrone?
Chiese consigli alla mamma, che le fece capire che aveva dimenticato troppe volte le carote della serenità, e di condire tutto con l’olio del suo affetto e il sale della sua pazienza.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storiella di una monetina d’argento

La storiella di una monetina d’argento

In una grande città di un lontano Paese esisteva una fabbrica di monete: una zecca.
Un giorno da quella zecca uscì una piccola moneta d’argento che subito cominciò a saltare e, tintinnando, disse:
“Voglio andare per il mondo, voglio vedere tutto ciò che succede nel mondo, lontano da qui!”
E ci andò veramente.
Passò dalle calde manine dei bambini alle fredde e viscide mani degli avari; i vecchi la tenevano stretta stretta, mentre i giovani la rimettevano subito in circolazione, spendendola presto e senza riflettere.
Per caso, un giorno, in un paese straniero, un signore se la trovò fra le mani ed esclamò:
“Toh! Una moneta d’argento del mio paese!” e la rimise nel borsellino insieme alle altre monete.
Lontana dal suo paese, la monetina si sentì estranea in mezzo alle altre e un giorno che il borsellino era aperto, scivolò per vedere cosa succedeva fuori; cadde a terra senza che nessuno si accorgesse di lei.
Dopo qualche ora passò un uomo che la vide, la prese e disse:

“Ma che razza di moneta è mai questa?

Non è delle nostre! È falsa!” e si affrettò a sbarazzarsene.
Incominciò così la sua odissea.
Quelle parole fecero tanto male alla monetina.
Essa sapeva di essere di puro argento e perfetta come conio.
Quelle persone si sbagliavano; non dovevano parlare male di lei e dire che era falsa e non valeva niente.
Un tale che l’aveva avuta per sbaglio disse:
“Appena è buio bisogna che cerchi di darla via.”
E così fece.
Qualcun altro la prese e, di nascosto, riuscì a spacciarla.
Passò di mano in mano.
Un giorno una povera donna che l’aveva avuta in compenso, dopo aver faticato a pulire una casa, non riuscì a darla via e fu per lei una vera disgrazia.

Pensò a come fare:

“Non posso tenere una moneta che non vale niente, la darò al fornaio che saprà come disfarsene.”
Ma il fornaio furbo si accorse che era una moneta fuori corso e non volle accettarla.
La poveretta la riprese e la riportò a casa:
la osservò con gentile delicatezza e disse:
“No! Non voglio più truffare nessuno.
Ma se ci penso bene questa monetina potrebbe essere un portafortuna.
La bambina prese la monetina insieme alla catenina e l’appese al collo.
Il portafortuna riposò tranquillo sopra il petto di una piccola innocente.
La mattina dopo, la madre della piccina la prese in mano e la osservò; staccò la catenina esclamando:
“Che razza di portafortuna: ora vedremo!”

Tuffata nell’aceto la moneta diventò verde.

Allora la donna chiuse il buco con del mastice, la lucidò un po’ e, giunta la sera, col buio, andò a comperare un biglietto della lotteria che, secondo lei, avrebbe dovuto portarle fortuna.
Siccome davanti al botteghino c’era molta gente che comperava i biglietti, quando toccò alla donna, il venditore prese la moneta e la gettò (senza osservarla) insieme alle altre.
Però il giorno dopo, accortosi che era falsa, riuscì a darla via.
Passò molto tempo e la moneta continuò a passare da uno all’altro, sempre malvista:
nessuno si fidava di tenerla.
Dopo tanto vagare senza alcuna meta, capitò fra le mani di un viaggiatore straniero che, prendendola per moneta corrente, volle darla via, ma anche lui si sentì dire:
“Non vale nulla! È falsa!”.
Allora la osservò bene e disse:
“Ma questa è una moneta d’argento del mio Paese, un’onesta moneta nostra. Toh!
Le hanno fatto il buco perché credevano che fosse falsa!
Voglio tenerla ed importarla in patria!”
Finalmente la moneta si sentì dire che era buona e onesta e finalmente sarebbe ritornata a casa!

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’albero e la siepe

L’albero e la siepe

Non era tanto bello.
Aveva un tronco rugoso, dei rami un po’ rachitici che producevano delle mele aspre che nessuno voleva.
Ma la cosa peggiore era il carattere.
Albero non faceva che lamentarsi.
La cosa dava fastidio soprattutto a Siepe, che era cresciuta proprio accanto ad Albero.
Era primavera e Albero continuava a mugugnare:
“Vedrai che stasera pioverà e magari anche domani.
E poi soffierà il vento e mi spezzerà qualche ramo!”
“Ma è così soave il vento di primavera!” diceva Siepe.
Albero non ascoltava neanche:
“Quegli orribili uccelli, poi!
Mi faranno il nido addosso e mi mangeranno i germogli!”

Albero continuava a lamentarsi per ore:

il campo si sarebbe riempito di fango, le mucche e i conigli gli avrebbero rovinato la corteccia, l’erba alta gli avrebbe fatto il solletico e così via.
Per Siepe era un vero supplizio.
Decise perciò che doveva far qualcosa per impedire il continuo mugugno di quel brontolone d’Albero.
Dovete sapere che il miglior amico di Siepe era il vecchio Corvo, che si appollaiava spesso tra i suoi rami dopo pranzo e dopo cena per far quattro chiacchiere.
Siepe spiegò a Corvo il problema:
“Come faccio a far smettere Albero di lamentarsi?”
Corvo si mise a pensare, poi disse:
“Albero non ha una vera ragione di vita, ecco perché si lamenta sempre!”
“Ma dove si trova questa ragione?” chiese Siepe.
“Di solito, proprio sotto il naso!” replicò Corvo.
La primavera lasciò il posto all’estate e Siepe si riempì di verde.
Come sempre, Caprifoglio le si attorcigliò alle foglie, adornandola con i suoi fiori profumati.

Le api ronzavano nella calda aria estiva.

“Albero,” chiese Siepe un bel giorno, “qual è la cosa più brutta della tua vita?”
Albero ci pensò un po’ e poi sussurrò con voce triste:
“La cosa peggiore è che non piaccio a nessuno.
Perché sono brutto.
La mia fioritura dura solo pochi giorni, le mie foglie non sono belle e le mie mele selvatiche hanno un sapore orribile!”
“Ma a questo si può rimediare facilmente!” esclamò Siepe.
“Potrei chiedere a Caprifoglio di crescere lungo il tuo tronco e sui tuoi rami, e così saresti ricoperto di fiori profumati e di foglie verdi per la maggior par te dell’anno.
L’unica difficoltà è che…
Caprifoglio non vuole: dice che ti lamenti troppo!”
Albero rimase in silenzio.
Poi disse:
“Se io prometto di lamentarmi di meno, potresti convincerlo a crescere sopra di me?”

“Se non ti lamentassi per un anno intero forse accetterebbe!” rispose Siepe.

Così, per un anno intero, Albero non si lamentò neppure una volta.
Nemmeno quando arrivò la siccità, né quando arrivò una nevicata mai vista e neppure quando le lepri rosicchiavano le radici.
E un bel giorno della primavera seguente, Caprifoglio mise fuori un timido germoglio.
Si attorcigliò al tronco di Albero e si intrecciò ai suoi rami.
Quando il vento di giugno fece volar via i boccioli di Albero, Caprifoglio dischiuse i suoi fiori profumati gialli e rosa, e Albero divenne il più bello tra tutti gli alberi del campo.
Da quel giorno non si lamentò più.
Nemmeno una volta.
Mai più.
Un pomeriggio d’inverno, Corvo andò da Siepe.
“Non ho più sentito Albero lamentarsi.
Deve aver trovato una ragione di vita.
Qual è?”
“Chiedilo a lui!” rispose Siepe.
Corvo volò da Albero e gli chiese che ragione di vita avesse trovato.
“Non posso parlare ora, Corvo, devo proteggere Caprifoglio dal vento!”
“Ma è tutto marrone e avvizzito ora che è inverno!”

“Ora è così!” rispose Albero.

“Ma si appoggia a me perché io lo protegga fino a primavera.
E allora sboccerà di nuovo più folto e più bello dell’anno passato!”
Il vecchio Corvo e Siepe furono molto contenti nel sentirlo parlare così.
Albero aveva trovato la sua ragione di vita.
E non si sarebbe lamentato mai più.
Albero rappresenta quel tipo di persona che si incontra spesso:
colui che non trova mai nulla di buono, che trova difetti in tutto e in tutti, che non ha mai detto nulla nella sua vita!
“Questo è bello! Magnifico! Bravo!”
Sono molte le persone che, “brontolando” sempre, rendono la vita infelice agli altri e soprattutto a se stessi.
“Trovare una vera ragione di vita,” dice il racconto “è trovare la felicità!”
Uno scopo, un ideale, una missione, una mèta: non bisogna mai dimenticare che questo è un elemento insostituibile della felicità.
Solo l’uomo che ha un senso e una direzione si sente realizzato.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il paese delle ombre

Il paese delle ombre

C’era una volta uno strano piccolo paese addossato ad una montagna altissima.
Un paesino per tanti aspetti come tutti, ma a renderlo unico nel suo genere era il fatto che gli abitanti, sindaco in testa, erano assillati da un problema che poteva sembrare ridicolo, eppure era reale e praticamente irrisolvibile:
eliminare le ombre!
Come fossero arrivati a farsi un problema delle ombre, non si sa:
ne succedono tante nel mondo!
Fatto sta che la cosa era diventata tanto preoccupante che tutti ne erano ossessionati.

Le ombre erano onnipresenti, di tutte le dimensioni!

Si fece persino un museo delle ombre, con dipinti e fotografie; si allestì anche una biblioteca.
Furono chiamati oratori famosi e grandi studiosi per analizzare il più profondamente possibile la grave situazione.
In concreto non si arrivò a nessuna conclusione pratica, a parte qualche tentativo, rivelatosi inutile, come quello di organizzare un gruppetto di pittori che, con pennelli e un secchio di calce pronti, dovevano eliminare le ombre con una mano di bianco.
Era veramente ridicolo vedere per il paese questi onnipresenti pittori alle prese con l’ombra di tutti.
Dove sorgeva un’ombra nuova si precipitavano e tutte le case e le mura erano ormai imbiancate.
Figurarsi quando arrivava uno straniero, era lavoro doppio!
Gli abitanti infatti da tempo, durante il giorno, per non creare nuove ombre rimanevano tappati in casa!
Alcuni poi cercarono, presi dalla mania collettiva, di risolvere il problema per conto proprio:
un vecchietto, per esempio, ogni mattina quando le ombre erano più lunghe, si affannava, spalle al sole, con un grosso piccone a distruggere la propria ombra.

Ma tutto era inutile:

l’ombra era una realtà indistruttibile!
Il peggio fu che, poco a poco, ogni altro problema vero fu lasciato da parte e il paese cadde nel più completo abbandono.
Nessuno più veniva ad abitarvi e tutti si guardavano bene dal prendere iniziative che creassero nuove ombre.
Solo verso sera il paese sembrava entrare nella normalità.
Era quando la grande ombra della montagna scendeva e ricopriva tutto.
Non c’erano più ombre perché c’era un’unica grande ombra, che sembrava estesa quanto il cielo.
Allora il paese si rianimava.
I pittori prendevano un po’ di fiato e di riposo.
Ma presto, con il calare della notte, tutto si immergeva nel silenzio e non si accendevano luci perché esse creavano ombre ancora più fastidiose, per cui in breve tutti si mettevano a letto, pensando al guaio grande di vivere in un paese zeppo di ombre.
Un giorno passò di là un poveraccio, saggio della saggezza di chi aveva camminato tutta una vita e ne aveva visto di tutti i colori in giro per il mondo.
Egli, al vedere quanto succedeva in quel paese, in un primo momento non seppe contenersi dalle risa:
si divertiva soprattutto a far correre i pittori nei punti più svariati del paese, erigendo di nascosto cartelli e sagome varie per creare ombre improvvise, sempre nuove e strane.
Il gioco non durò a lungo.

Egli fu fermato e ammonito:

non si poteva scherzare sui problemi seri, su sforzi estenuanti di anni di ricerca e di tentativi.
Sulle prime il nostro forestiero fu tentato di andarsene.
Però quella gente gli faceva pena:
era sorta in lui una strana curiosità, un interesse che per la prima volta lo teneva bloccato nel suo vagabondare.
Man mano che passavano i giorni, il problema dell’ombra diventò anche per lui un’ossessione.
E fu proprio per scrollarsi di dosso questo incubo che un giorno si inerpicò tutto solo fin sulla vetta della montagna e di lassù vide il paesino illuminato dal sole, in tutta la sua pittoresca realtà.
Altro che ombre!
E’ il paese che esiste!
Il paese da lassù era un paese di case, di alberi, di persone che con la luce si rivelano.
Non era per niente un paese di ombre!
Aveva capito ciò in cui profondamente aveva sempre creduto in fondo al suo cuore e che gli abitanti di quel paese avevano, presi da una strana follia, dimenticato.
Scese di corsa e tutto trafelato andò dal sindaco e gli espose la sua intuizione, ma fu accolto con un sorriso ironico:
in un paese di pazzi il savio passa per matto.
“Sole o non sole, cose o non cose,” gli disse il sindaco “le ombre ci sono e questo è il nostro concreto.

Le ombre sono terribilmente ovunque e questo è evidente.

Tentare di risolvere il problema è il compito più importante che ci siamo assunti; in fondo è fare un servizio alla luce!”
Ormai si era prodotta una così grande distorsione mentale che si pensava alla luce in termini di ombra, come se si volesse decidere di fare il bene solamente cercando di eliminare il male.
Anche il parroco con le sue benedizioni non riusciva ad allontanare le ombre…
Il pover’uomo tornò alla sua capanna in fondo al paese un po’ meravigliato e un po’ sconsolato.
Però si sentiva come guarito da una malattia.
Non guardava più le ombre, anzi ricominciò a fare quello che aveva sempre fatto, ma ora con una grande gioia interiore:
accarezzava con lo sguardo tutte le cose che la luce rivelava.
Tutto era bello, nuovo, sembrava nascere allora.
Anche le ombre erano a loro modo belle perché contribuivano a delineare sempre meglio i contorni delle cose.
Non frequentò più il paese, anche perché quei poveri pittori, guardiani dell’ombra, un’istituzione benemerita, gli facevano pena.

Camminava solo per le strade dei prati o per i sentieri del monte.

Se parlava con qualcuno era per rivolgersi ai piccoli, perché i bambini credono a tutti.
Anzi ne aveva sempre intorno qualcuno che lo ascoltava nel suo raccontare di tante cose e nel dire soprattutto che le cose sono belle per quello che sono; che le ombre ci sono perché ci sono le case illuminate e che la luce è l’unica cosa bella perché ci fa vedere il volto delle persone, altro che l’ossessione di quel paese, dove si riconoscevano per l’ombra anziché per il volto!
I bambini che sono semplici e non capiscono i discorsi e i problemi dei grandi, tanto meno il problema delle ombre, crebbero con spontaneità e diventarono giovani un po’ contestatori, perché non badavano più alle ombre e si davano da fare per rinnovare il paese.
Gli anziani restarono sconcertati:
“Come si fa a ragionare con questa gioventù con idee così diverse!” si confidavano con amarezza e anche con segreta curiosità; e diffidavano chiunque dall’incontrare il forestiero.

Ma ormai il sortilegio era rotto.

A poco a poco il contagio dell’ombra passò.
Tutti cominciarono a guardare le cose per quello che erano e anche il paese delle ombre diventò un paese normale, il paese della realtà come tutti i paesi del mondo.
Il povero saggio da tempo si era rimesso in viaggio.
Il paese era guarito, e a lui era rimasta nel cuore una nuova profonda saggezza:
quando vedeva la sua ombra che fedelissima lo accompagnava, pensava al paese delle ombre e sorrideva dicendo tra sé:
“Se si guarda solo l’ombra, il male, non si vive più!
L’ombra e anche il male sono per la luce, per la vita, per il bene!” e dava un calcio alla propria ombra, un calcio all’aria, contento di vivere nella realtà.

Brano senza Autore, tratto dal Web