La leggenda del “Fiore della Passione.” (La leggenda della Passiflora)


La leggenda del “Fiore della Passione.” (La leggenda della Passiflora)

Tanto tanto tempo fa, la primavera fece balzare dalle tenebre verso la luce tutte le piante della Terra, e tutte fiorirono come per incanto.
Solo una pianta non udì il richiamo della primavera, e quando finalmente riuscì a rompere la dura zolla di terreno, la primavera era già lontana…
“Fa’ che anch’io fiorisca, o Signore!” pregò la piantina.

“Tu pure fiorirai.” rispose il Signore.

“Quando?” chiese con ansia la piccola pianta senza nome.
“Un giorno…” e l’occhio di Dio si velò di tristezza.
Era ormai passato molto tempo, la primavera anche quell’anno era venuta e al suo tocco le piante del Golgota avevano aperto i loro fiori.

Tutte le piante, fuorché la piantina senza nome.

Il vento portò l’eco di urla sguaiate, di gemiti, di pianti: un uomo avanzava fra la folla urlante, curvo sotto la croce, aveva il volto sfigurato dal dolore e dal sangue…
“Vorrei piangere anch’io come piangono gli uomini!” pensò la piantina con un fremito.
Gesù in quel momento le passava accanto,

e una lacrima mista a sangue cadde sulla piantina pietosa…

Subito sbocciò un fiore bizzarro, che portava nella corolla gli strumenti della passione: una corona, un martello, dei chiodi…
Era il fiore della passione, la passiflora.


Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web

La leggenda del melograno


La leggenda del melograno

Gesù saliva faticosamente la via del Calvario.
Dalla Sua fronte trafitta di spine cadevano gocce di sangue.

Gli Apostoli, timorosi,

seguivano Gesù da lontano, per non farsi vedere; ed uno di essi, quando il triste corteo era passato, raccoglieva i sassolini arrossati, dal sangue benedetto di Gesù e li metteva in un sacchetto.

A sera gli Apostoli si radunarono tutti tristi nel Cenacolo;

l’apostolo pietoso trasse di tasca il sacchetto per mostrare ai compagni le reliquie del sangue di Gesù; ma nel sacchetto trovò un frutto nuovo, dalla buccia spessa ed aspra dentro alla quale erano tanti chicchi, rossi come il sangue di Gesù.
Era nato il melograno.

Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web

La leggenda del salice “piangente”


La leggenda del salice “piangente”

Gesù saliva verso il Calvario, portando sulle spalle piagate la croce pesante.
Sangue e sudore rigavano il volto santo coronato di spine.

Vicino a Lui camminava la Madre, insieme ad altre pie donne.

Gli uccellini, al passaggio della triste processione, si rifugiavano, impauriti, tra i rami degli alberi.
Ad un tratto Gesù stramazzò al suolo.
Due soldati dell’epoca, armati di frusta, si precipitarono su di Lui ed allontanarono la Madre che tentava di rialzarlo, dicendogli:

“Su, muoviti!

E tu, donna, stattene da parte.”
Gesù tentò di rialzarsi, ma la croce troppo pesante glielo impedì.
Era caduto ai piedi di un salice.

Cercò inutilmente di aggrapparsi al tronco.

Allora l’albero pietoso chinò fino a terra i suoi rami lunghi e sottili perché potesse, afferrandosi ad essi, rialzarsi con minor fatica.
Quando Gesù riprese il faticoso cammino, l’albero rimase con i rami pendenti verso terra:
da quel momento venne chiamato “Salice Piangente.”


Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web

La leggenda delle campane di Pasqua


La leggenda delle campane di Pasqua

Riccardo e Silvia erano ospiti dalla nonna Maria per le vacanze di Pasqua.
Stavano ascoltando con attenzione la nonna che raccontava loro una storia:
“Tutte le campane del mondo sono andate a Roma a trovare le loro sorelle che sono a San Pietro.”
“Ma sei sicura, nonna?” fece Riccardo dubbioso.
“Chi le ha portate?” s’incuriosì Silvia.
“Sono andate da sole!” rispose la nonna.
“Ma non è possibile!” esclamò Riccardo.
“Eppure da ieri non si sono più sentite suonare!” disse la nonna.

Riccardo l’interruppe:

“Lo so, tacciono perché è morto Gesù, ma quando Gesù risorgerà, suoneranno il Gloria.”
“Verissimo,” rispose la nonna, “ma si racconta che la notte del venerdì, quando la gente dorme, le campane di tutte le chiese, zitte zitte, volino a trovare le campane di Roma.
La notte del Sabato Santo ritornano alle loro chiese, volando assieme alle colombe pasquali, e nel loro passaggio depositano uova e dolci per i bambini.”
I due nipotini ascoltavano attenti, ma un po’ increduli.
“Che fanno le colombe?” chiese Silvia.
“Volano col rametto d’ulivo nel becco, in segno di pace!” disse la nonna.
“Davvero le campane lasciano uova e dolci per i bambini?” domandò Riccardo, interessato.

“Si, ma soltanto per i bambini che credono a questa storia.” concluse nonna Maria.

Poco dopo i due fratelli, rimasti soli, si misero a discutere.
“Ma le campane non possono volare, non hanno le ali!
E poi, come fanno a portare dolci ai bambini se non hanno le mani?
Sicuramente è una favola!” esclamò Riccardo.
“Perché la nonna la racconta come una storia vera?” chiese Silvia.
“Forse lei ci crederà!” disse Riccardo.
“Allora aspetterà i dolci dalle campane e ci resterà male non trovandoli…” concluse Silvia.
I bambini pensarono al da farsi, poi ebbero un’idea e per tutto il pomeriggio del sabato furono occupatissimi:
Silvia in cucina, con la zia, e Riccardo a gironzolare attorno alla colombaia trascinandosi dietro la scala.

La nonna, si accorse di tutto quel traffico, ma fece finta di niente.

La domenica, alla fine del pranzo, arrivò la zia reggendo su un vassoio una grossa campana di pastafrolla, legata con nastrini colorati.
I due bambini si strizzarono l’occhio, aspettando con impazienza il resto della sorpresa.
Quando la campana fu sollevata, uscì una piccola colomba spaurita che lasciò cadere a terra un ramoscello d’ulivo.
Svelto, Riccardo lo raccolse e lo porse alla nonna:
“Tieni, nonna, è per te!”
La nonna sorrise commossa; non poteva parlare perché la voce le tremava un po’.

Leggenda popolare
Brano senza Autore

La storia del bradipo


La storia del bradipo

Viveva nella foresta tropicale e i suoi ritmi lenti di vita gli permettevano di gioire delle albe e dei tramonti e del trascorrere delle stagioni.
Stava sempre appeso a testa in giù e proprio per questo i suoi occhi riflettevano le stelle nelle calde notti estive, gli arcobaleni dopo i temporali e la profondità dei cieli primaverili.
Per questo sembrava strano agli altri animali:

“E’ troppo lento… E’ troppo quieto…”

“Vive a testa in giù!”
Colpito da questi giudizi si ritirava sui rami sempre più alti evitando la vita frenetica delle radure della foresta.
Un giorno di primavera le grandi ombre delle nuvole correvano sul suolo dove gli animali si muovevano indifferenti…
Senza accorgersi che la più lenta e la più grande era quella del condor che roteava alto nel cielo cercando la preda.
Solo lui, che guardava fisso nel cielo se ne accorse e capì il pericolo.

Allora gridò, gridò più volte…

Gli animali fuggirono in tempo e, per quella volta, il condor volò via senza avere ucciso.
Ora lui ha molti amici e gli animali hanno capito che anche chi vede il mondo capovolto può essere importante.

Brano di Pino Ligabue

Il signore dei cuori


Il signore dei cuori

Sopra la montagna più alta del mondo un vecchio ed instancabile uomo continuava il suo incessante lavoro in solitudine.
Quella montagna non era raggiungibile né visibile agli uomini, ma un giorno di primavera una donna scalò la sua cima trovandosi occhi negli occhi con l’intramontabile Signore dei Cuori.
La donna fece in silenzio gli ultimi passi, e nel vedere quel vecchio solo sulla cima della montagna che aveva scalato con grande dolore, prese a piangere per la commozione, tanto che il vecchio sentendola singhiozzare si voltò.
La donna nel suo volto non vi colse sorpresa, ma sollievo come se l’aspettasse da tanto tempo, ma neanche lei fu sorpresa quando riconobbe in quell’uomo suo padre.
“Sei giunta finalmente, è tanto che ti sento parlare, piangere e cantare, attendevo la tua venuta così come si può attendere il sorgere del sole.” disse lui.

“Padre cosa ci fai su questo monte tutto solo, ti prego lascia che possa fare qualcosa per te, vieni dammi la mano scendiamo in terra, non ti posso lasciare qui.” rispose la figlia.

“Figlia mia, il mio compito è essenziale affinché la vita abbia continuità.
Vedi questa montagna di dura roccia, essa è l’umanità ed io sono il Signore dei Cuori.” rispose lui.
“Padre che significa?” chiese la figlia.
“Avvicinati e te lo dimostrerò!” esclamò il padre.
La donna fece alcuni passi e raggiunse il vecchio uomo, al suo fianco c’era uno scrigno tutto d’oro intarsiato da una miriade di pietre preziose, che l’uomo prese con molta cura porgendoglielo:
“Padre grazie, ma cos’è?” chiese nuovamente la figlia.

“Aprilo!” esclamò il padre.

La donna aprì lo scrigno e dentro riconobbe il suo cuore di carne.
“Padre, ma è il mio cuore?
Perché non era in me, ma nelle tue mani?” domandò stupita la figlia.
Il padre rispose:
“Questo è il mistero che non vi è ancora stato svelato, ma per il quale ora siete maturi.
Il vostro cuore di pietra dovrà divenire di carne, prima che esso vi venga consegnato, e con esso una vita degna d’esser vissuta.
Vedi io non potrò scendere alla vita sino a quanto l’intera montagna che tu hai scalato, non sarà mutata da dura roccia in un caldi cuori che palpitano d’amore.
Io resterò qui sino a quando tutti i cuori del mondo non vedranno spuntare il loro fiore.”

Brano di Cleonice Parisi

Il cardellino e lo spaventapasseri


Il cardellino e lo spaventapasseri

Una volta un cardellino fu ferito a un’ala da un cacciatore.
Per qualche tempo riuscì a sopravvivere con quello che trovava per terra.
Poi, terribile e gelido, arrivò l’inverno.
Un freddo mattino, cercando qualcosa da mettere nel becco, il cardellino si posò su uno spaventapasseri.
Era uno spaventapasseri molto distinto, grande amico di gazze, cornacchie e volatili vari.
Aveva il corpo di paglia infagottato in un vecchio abito da cerimonia; la testa era una grossa zucca arancione; i denti erano fatti con granelli di mais; per naso aveva una carota e due noci per occhi.
“Che ti capita, cardellino?” chiese lo spaventapasseri, gentile come sempre.
“Va male!” sospirò il cardellino, “Il freddo mi sta uccidendo e non ho un rifugio.
Per non parlare del cibo.
Penso che non rivedrò la primavera.”

“Non aver paura.
Rifugiati qui sotto la giacca.
La mia paglia è asciutta e calda!” rispose lo spaventapasseri.
Così il cardellino trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri.
Restava il problema del cibo.
Era sempre più difficile per il cardellino trovare bacche o semi.
Un giorno in cui tutto rabbrividiva sotto il velo gelido della brina, lo spaventapasseri disse dolcemente al cardellino:
“Cardellino, mangia i miei denti: sono ottimi granelli di mais.”

“Ma tu resterai senza bocca!” replicò il cardellino.

“Sembrerò molto più saggio.” affermò lo spaventapasseri.
Lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che il suo piccolo amico vivesse.
E gli sorrideva con gli occhi di noce.
Dopo qualche giorno fu la volta del naso di carota.
“Mangialo. E’ ricco di vitamine!” diceva lo spaventapasseri al cardellino.
Toccò poi alle noci che servivano da occhi.
“Mi basteranno i tuoi racconti!” diceva lui.
Infine lo spaventapasseri offrì al cardellino anche la zucca che gli faceva da testa.
Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c’era più.
Ma il cardellino era vivo e spiccò il volo nel cielo azzurro.


Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

I tarassachi


I tarassachi

Un uomo decise i curare il praticello davanti alla sua casa, per farne un perfetto tappeto all’inglese.
Era quasi riuscito nel suo intento, quando una primavera scoprì che nel suo prato erano nati alcuni tarassachi, dai brillanti fiori gialli.
Si precipitò a sradicarli, ma il giorno dopo, altri fiori gialli spiccavano nel verde prato.
Comprò un veleno per distruggerli, ma niente da fare…

Da quel momento la sua vita divenne una lotta contro i tenaci fiori gialli, che ad ogni primavera diventavano più numerosi.
“Che posso fare ancora?” chiese scoraggiato alla moglie.
“Perché non provi ad amarli?” gli rispose tranquilla la moglie.
L’uomo ci pensò un po’, e decise di mettere in pratica il consiglio ricevuto.
Dopo un po’ di tempo ai suoi occhi quei brillanti fiori gialli gli sembravano un tocco d’artista nel verde smeraldo del suo prato.
Da allora vive felice.

Quante persone ci irritano
Perché non proviamo ad amarle?
Staremo sicuramente meglio, amare è la migliore medicina.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il non vedente ed il pubblicitario


Il non vedente ed il pubblicitario
(Oggi è primavera ed io non la posso vedere)

Un giorno, un uomo non vedente stava seduto sui gradini di un edificio con un cappello ai suoi piedi ed un cartello recante la scritta:
“Sono cieco, aiutatemi per favore.”
Un pubblicitario che passeggiava lì vicino si fermò e notò che aveva solo pochi centesimi nel suo cappello.
Si chinò e versò altre monete, poi, senza chiedere il permesso dell’uomo, prese il cartello, lo girò e scrisse un’altra frase.
Quello stesso pomeriggio il pubblicitario tornò dal non vedente e notò che il suo cappello era pieno di monete e banconote.

Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo: gli chiese se fosse stato lui ad aver riscritto il suo cartello e cosa avesse scritto.
Il pubblicitario rispose:
“Niente che non fosse vero; ho solo riscritto il tuo in maniera diversa.” sorrise e andò via.
Il non vedente non seppe mai che ora sul suo cartello c’era scritto:
“Oggi è primavera ed io non la posso vedere.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La leggenda del bucaneve


La leggenda del bucaneve

Un’antica leggenda racconta che quando tutto ciò che vive prese la sua forma e il suo nome definitivo, solo l’uomo non fu contento, poiché la terra gli sembrava triste e deserta.
Egli sentiva che mancava qualcosa che rendesse bella e felice la sua vita.
Allora apparve la fata dei fiori, la quale, ascoltando le sue lamentele gli disse:
“Coprirò la terra con un ornamento originale che sarà per sempre la tua consolazione e la gioia dei tuoi occhi.”
E a un cenno della sua bacchetta magica uscirono all’improvviso dalla terra moltissimi fiori che si disposero gli uni accanto agli altri.
La fata allora immerse la sua bacchetta magica nei colori dell’arcobaleno e diede a ciascuno dei colori diversi.

Ben presto la terra si coprì di fiori coloratissimi di ogni tipo.

I fieri crisantemi poterono inorgoglirsi di essere splendenti e multicolori, le rose dei loro petali che sembravano preziosi velluti, i garofani, i gelsomini, i fiordalisi, le viole profumate…
Allo stesso tempo la fata dava a ciascuno un nome, indicandogli anche il luogo di residenza.
Non appena tutti i fiori furono pronti a confortare il genere umano, si udì da sotto un mucchio di neve come il sospiro di un bambino abbandonato.
“Io sono il solo ad essere stato dimenticato, buona fata,” diceva una vocina lamentosa “e sono rimasto senza colore e senza nome.
Quando i miei fratelli, sparsi sulla terra per compiere la loro missione, rallegreranno gli sguardi con la loro bellezza, io resterò qui e nessuno lo saprà!”

Commossa la fata rispose:

“Non essere triste piccolo fiore.
Tu che sei rimasto l’ultimo, sarai il primo.
Poiché sei stato dimenticato, piccolo bucaneve, sarai tu con i tuoi petali bianchi ad annunciare l’arrivo della primavera.
Alla tua vista tutti si rallegreranno!”

Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web