La domanda di un filosofo alla figlia

La domanda di un filosofo alla figlia

Un famoso filosofo, giorno dopo giorno, si tormentava per cercare il significato ultimo dell’esistenza.
Aveva dedicato alla soluzione di questo enigma i migliori anni di vita e di studio.

Aveva consultato i più grandi saggi dell’umanità e

non aveva trovato alcuna risposta soddisfacente alla domanda.
Una sera, nel giardino della sua casa, mettendo da parte i suoi pensieri, prese in braccio la sua bambina di cinque anni che stava giocando allegramente.
E le chiese:

“Bambina mia, perché sei qui sulla terra?”

La bambina rispose sorridendo:
“Per volerti bene, papà!”

Brano di Bruno Ferrero

Oscar ed il (Papà) gigante

Oscar ed il (Papà) gigante

Il primo ricordo di Oscar è la faccia del gigante.
Era un faccione smisurato e terribile, tutt’intorno ad una bocca larghissima piena di denti.
Il faccione aveva una strana espressione.
“Adesso mi mangia!” pensò Oscar e cominciò a strillare con tutta la forza delle sue minuscole ma tenacissime corde vocali.
La mamma accorse e il gigante sparì.
Stretto stretto al petto della mamma, Oscar spiegò affannato:
“Mammina, c’era un gigante poco fa sulla mia culla e mi voleva assaggiare!
Un gigantone spaventoso!
Con una grande bocca e tanti denti!”
Naturalmente quello che usciva dalla sua bocca era soltanto:
“Nghè! Nghé! Uè, uè!” ma la mamma aveva il traduttore automatico e capiva.

Il gigante rimase a gironzolare nei dintorni.

Una volta lo prese in mano.
Oscar stava tutto in una sola di quelle manone.
Si preparava a strillare, ma scoprì che la manona era calda, accogliente e il vocione del gigante, che rimbombava “Oh là, là!” non era poi così spaventoso. Anzi.
Così Oscar imparò a vivere con il gigante.
Non sapeva bene che cosa facesse.
Spariva parecchie ore al giorno, ma quando c’era, Oscar si sentiva felice, sicuro, protetto.
Avere un gigante al proprio servizio non è niente male, pensava Oscar.
Quando l’orribile cane del Signor Pacucci minacciò ringhiando i teneri polpacci di Oscar, il gigante lo polverizzò praticamente con la sola apparizione.
Il gigante sapeva fare le operazioni, scrivere le lettere dell’alfabeto e raccontare le storie delle sue terre, piene di orchi, fate, draghi e cavalieri.
Un giorno, arrivò con una biciclettina e insegnò ad Oscar ad usarla.
Gli stette dietro per giorni, al parco, tenendolo con un dito, finché Oscar non fu in grado di pedalare da solo.

“Tump, tump!” facevano i suoi piedoni.

Oscar scoprì che quando sentiva quel “Tump, tump!” tutte le paure svanivano.
Ma un giorno venne il nonno a prendere Oscar a scuola.
Così capì che qualcosa non andava, perché doveva esserci la mamma al suo posto.
Dovevano andare tutti fuori a cena, quella sera, per festeggiare il compleanno della loro amica Laura.
Quando il nonno disse che il gigante aveva avuto un attacco di cuore, Oscar pensò che stesse scherzando.
Ma quando si rese conto che diceva sul serio pensò che sarebbe morto anche lui.
Era troppo scioccato persino per piangere.
Si sentiva intorpidito e indifeso.
Rimase lì, pensando:
“Perché?
Eri così grande, forte e in salute.
Lavoravi ogni giorno all’aperto!”
Pensava che fosse l’ultima persona al mondo che potesse avere un attacco di cuore.
Andare in ospedale fu terribile.
Il gigante era in coma.
C’erano tantissimi tubi e macchine intorno a lui.
Non sembrava nemmeno lui.

Oscar tremava.

Voleva solo che il gigante si svegliasse da quell’orribile incubo e lo portasse a casa.
L’ospedale era pieno di persone.
Erano molto gentili con Oscar.
Il bambino non sapeva che il gigante avesse così tanti buoni amici.
C’era anche Laura, ma non si festeggiò il suo compleanno.
Dopo quel primo giorno ne seguirono altri due di angoscia, di veglia e di preghiere.
Non funzionò.
Il 26 di febbraio accadde la cosa più tragica di tutti i dieci anni di vita di Oscar, e forse anche di tutti gli anni che vivrà.
Il gigante morì.
Con marzo arrivò la festa del papà.
Oscar comprò un bel biglietto d’auguri e scrisse la sua lettera:

“Non so nemmeno se mi hai sentito, quando ti ho detto addio.
Non ero mai stato a un funerale, prima, ma mi sorprese vedere che erano venute più di mille persone.
C’erano tutti i familiari e gli amici, ma anche un sacco di persone che non conoscevo nemmeno.
Immaginai poi che fossero persone che avevi trattato nello stesso modo speciale in cui trattavi me.

Ecco perché tutti ti volevano bene.

Certo, ho sempre saputo che eri speciale, ma in fondo eri il mio papà.
In quel giorno scoprii che eri speciale anche per molte altre persone.
Anche se ormai è passato del tempo, ti penso sempre e mi manchi molto.
Alcune notti piango fino ad addormentarmi, ma cerco di non buttarmi troppo giù.
So che ho ancora molto di cui essere grato.
Tu mi hai dato più amore in dieci anni di quanto molti bambini ne ricevano in tutta la vita.
È vero, non puoi più giocare a palla con me nei fine settimana, né portarmi fuori a colazione, né raccontarmi le tue storielle o passarmi di nascosto qualche spicciolo.
Ma io so che sei ancora con me.

Sei nel mio cuore e nelle mie ossa.

Sento la tua voce, dentro di me, che mi aiuta e mi guida nella vita.
Quando non so che cosa fare, cerco di immaginare quello che mi consiglieresti tu.
Sei ancora qui, a darmi consiglio e ad aiutarmi a capire le cose.
So che qualunque cosa accada, ti vorrò sempre bene e ti ricorderò.
Ho sentito dire che quando qualcuno muore, Dio manda un arcobaleno a prendere la persona per portarla in paradiso.
Il giorno in cui sei morto è apparso in cielo un doppio arcobaleno.
Tu eri alto quasi due metri.
Probabilmente un solo arcobaleno non era abbastanza per portarti fino in paradiso.
Ti voglio bene papà.
Oscar.

Brano senza Autore

La giornata con i papà

La giornata con i papà

Indossava il vestito più bello, di un luminoso color arancione, aveva i capelli raccolti con un nastro rosso e oro, ed era pronta ad uscire per andare a scuola.
Era la “Giornata con i papà” e tutti i bambini sarebbero dovuti andare a scuola accompagnati dal proprio papà.
Lei sarebbe stata l’unica con la mamma.
La mamma le aveva suggerito di non andare, perché i suoi compagni non avrebbero capito.
Ma la bambina voleva parlare a tutti del suo papà, anche se era un po’ diverso dagli altri.
A scuola c’era una folla di papà che si salutavano un po’ imbarazzati e bambini impazienti che li tenevano per mano.
La maestra li chiamava uno dopo l’altro e ciascuno presentava a tutti il suo papà.
Alla fine, la maestra chiamò la bambina con il vestito arancione e tutti la guardarono, cercando l’uomo che non era là.

“Dov’è il suo papà?” chiese un bambino.

“Per me non ce l’ha!” esclamò un altro.
Dal fondo, una voce brontolò:
“Sarà un altro padre troppo occupato che non ha tempo per venire!”
La bambina sorrise e salutò tutti.
Diede un’occhiata tranquilla alla gente, mentre la maestra la invitava a sbrigarsi.
Con le mani composte e la voce alta e chiara, cominciò a parlare:
“Il mio papà non è qui perché vive molto lontano!

Io, però, so che desidererebbe tanto essere qui con me:

voglio che sappiate tutto sul mio papà e su quanto mi vuole bene!
Gli piaceva raccontarmi le storie e mi insegnò ad andare in bicicletta.
Mi regalava un rosa rossa alle mie feste e mi insegnò a far volare gli aquiloni.
Mangiavamo insieme gelati enormi e, anche se non lo vedete, io non sono sola, perché il mio papà sta sempre con me, anche se viviamo lontani.
Lo so, perché me l’ha promesso lui, che sarebbe stato sempre nel mio cuore!”
Dicendo questo alzò una mano e la posò sul cuore.
La sua mamma, in mezzo alla schiera dei papà, la guardava con orgoglio, piangendo.
Abbassò la mano e terminò con una frase piena di dolcezza:
“Amo molto il mio papà!
È il mio sole e, se avesse potuto, sarebbe stato qui, ma invece è lontano in cielo…
Qualche volta però, se chiudo gli occhi, è come se non se ne fosse mai andato!”
Chiuse gli occhi e la madre, sorpresa, vide che tutti, padri e bambini, avevano chiuso gli occhi.

Che cosa vedevano?

Probabilmente il papà vicino alla bambina.
“So che sei qui con me, papà!” disse la bambina, rompendo il silenzio.
Quello che accadde dopo lasciò tutti emozionati.
Nessuno riuscì a spiegarlo, perché tutti avevano gli occhi chiusi, però sul tavolo ora c’era una magnifica e profumata rosa rossa.
E una bambina aveva ricevuto la benedizione dell’amore del suo papà e il dono di credere che il cielo non è poi così lontano!

Brano senza Autore

Due racconti di Bruno Ferrero per la Festa del Papà

Due racconti di Bruno Ferrero per la Festa del Papà
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Un abbraccio per papà

L’aiuto di papà

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“Un abbraccio per papà”

Degli studenti universitari ebbero come compito per il fine settimana:
dare un lungo e caloroso abbraccio al loro papà.
“Non posso farlo,” protestò uno, “mio padre morirebbe!”

“E poi,” disse un altro, “mio padre sa che lo amo!”

“Allora è facile!” replicò il professore, “Perché non lo fai?”
Il lunedì seguente tutti parlavano, sorpresi, di come fosse stata soddisfacente l’esperienza.
“Mio padre si è messo a piangere!” diceva uno.

E un altro:

“Strano. Mio padre mi ha ringraziato!”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” Edizioni ElleDiCi.
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“L’aiuto di papà”

Il padre guardava il suo bambino che cercava di spostare un vaso di fiori molto pesante.
Il piccolino si sforzava, sbuffava, brontolava, ma non riusciva a smuovere il vaso di un millimetro.

“Hai usato proprio tutte le tue forze?” gli chiese il padre.

“Sì!” rispose il bambino.
“No!” ribatté il padre, “Perché ancora non mi hai chiesto di aiutarti!”

Brano tratto dal libro “Quaranta (40) storie nel deserto.” Edizioni ElleDiCi.

Racconti per la Festa del Papà

Racconti per la Festa del Papà Sito Racconti con Morale ——————————- A Mio Padre… ——————————- Ancora cinque minuti papà! ——————————- Aspetta, papà… aspetta ——————————- Aspettando…

La prova di coraggio

La prova di coraggio

“Se vuoi entrare nella nostra banda, lo devi fare!” disse Pietro a muso duro.
Ale fissava la punta delle scarpe.
“Non ho mai rubato!” mormorò.
“C’è sempre una prima volta.
E una prova di coraggio è una prova di coraggio!” ribatté Pietro.
“Non avere fifa!” lo incoraggiò Berni, “Noi distraiamo il vecchio e tu fai sparire il cioccolato in tasca. Dai!”
Ale scrollò le spalle:
“Non è una gran prova di coraggio fregare cioccolato a un vecchio!”
“Vuoi essere dei nostri, sì o no?” chiese allora Pietro, “O sei un vigliacco?”
“Io non sono un vigliacco!” rispose Ale.
E si diressero tutti e tre verso la piccola bottega che vendeva un po’ di tutto.

Il campanello della porta trillò.

Il vecchio li guardò da sopra gli occhiali e li salutò con un cenno del capo.
Pietro e Berni finsero di esaminare la merce con aria indolente.
Poi richiamarono l’attenzione del bottegaio nell’angolo dei quaderni:
“Quanto costa questo?”
“Cinquanta centesimi!” rispose gentilmente il vecchio.
Nella parte opposta del negozio Ale con mossa rapida fece scivolare alcune confezioni di cioccolato nelle tasche.
I ragazzi pagarono il quaderno.
Il vecchio regalò a ciascuno una gomma da masticare.
Lo faceva con tutti i bambini.
I ragazzini corsero via eccitati.
Ai giardini, Ale consegnò il bottino.
“Cioccolato con le nocciole! Grande!” esclamarono i due.

Lo divorarono.

Ale lo trovò spiacevolmente amaro.
“Ora sei dei nostri!” disse Pietro e gli diede un rumoroso “cinque.”
“Io vado a casa!” mormorò Ale.
Passò la serata a studiare e andò a letto senza discutere.
Il mattino dopo, ebbe un tuffo al cuore passando davanti alla bottega del vecchietto.
Alla fine della mattinata di scuola cincischiò con libri e zainetto finché rimase solo, poi entrò nella bottega.
Il campanello trillò e il vecchietto lo accolse cordialmente.
Il ragazzino mise una banconota accanto alla cassa.

“Tre tavolette di cioccolato!” disse.

“Prendile pure Ale!” rispose il vecchio.
“Le ho già prese ieri, signore!” mormorò il bambino arrossendo, che aggiunse:
“Ho dovuto farlo.
Era una prova di coraggio…”
Il vecchio prese la banconota e gli diede il resto, come sempre regalò ad Ale una gomma da masticare.
Poi fece un cenno di approvazione con il capo:
“La prova di coraggio l’hai superata oggi!”

Brano senza Autore

L’amico “Eco”

L’amico “Eco”

C’era una volta un ragazzo che, malgrado la giovane età, lavorava per aiutare i suoi genitori!
Viveva con loro in un piccolo villaggio appollaiato sulle montagne e, ogni mattina, conduceva al pascolo il suo gregge di capre fra le gole delle montagne!
Un mattino, mentre seguiva le capre su un sentiero nuovo in una valle stretta, gli sembrò di udire rumore di passi e belati di altri animali!
Il ragazzo pensò che ci dovesse essere nelle vicinanze un pastore che, come lui, portava al pascolo il gregge.
Il suo cuore fece un balzo di gioia:
gli sarebbe tanto piaciuto avere un amico!
Facendo imbuto con le mani davanti alla bocca, gridò:
“Chi è là?”

Udì una voce che gli rispondeva:

“Chi è là?
Chi è là?
Chi è là?”
Le grida venivano da più parti.
C’erano tanti pastori sulla montagna?
Come mai non li aveva mai incontrati?
Allora gridò più forte:
“Fatevi vedere!”
Le voci risposero:
“Fatevi vedere!
Fatevi vedere!
Fatevi vedere!”
Ma non apparve nessuno.
Il ragazzo gridò ancora:
“Perché non venite fuori?”
Da tutte le direzioni le voci risposero:
“Venite fuori!
Venite fuori!
Venite fuori!”
Il giovane pastore pensò che si volessero burlare di lui e si rattristò.
Per non darlo a vedere, sbraitò in tono arrabbiato:
“Chi fa così è proprio scemo!”

Per tutta la montagna rimbombò:

“Scemo!
Scemo!
Scemo!”
Questa volta il povero pastorello ebbe una gran paura.
Dovevano essere ben cattivi quei pastori della montagna!
Radunò in fretta e furia le capre e tornò al villaggio!
Adesso aveva paura a tornare sulla montagna:
magari qualcuno di quei perfidi pastori avrebbe potuto tendergli un tranello e fargli del male!
Il giorno dopo si sentiva veramente angosciato all’idea di avventurarsi su per la montagna.
“Che cos’hai figlio mio?” gli chiese, la madre, “Perché non vuoi portare le capre al pascolo?”
Il ragazzo raccontò tutto a sua madre:
le grida minacciose che rimbombavano sulla montagna e i pastori invisibili che lo insultavano.
Dopo averlo ascoltato attentamente la madre comprese che non ci fosse nessuno sulla montagna!
Soltanto l’eco rimandava al ragazzo le parole che lui stesso aveva gridato!
“Non ti preoccupare figlio mio!” gli disse.
“Quei pastori non ti vogliono fare alcun male!
Hanno solo paura di te e vorrebbero degli amici.
Domani, quando sarai tra le rocce, augura loro il “buongiorno” e aggiungi qualche frase amichevole!
Sono sicura che te la ricambieranno!”
Il giorno dopo, quando raggiunse la gola tra i monti, il ragazzo inspirò profondamente e gridò: “Buongiorno!”

L’eco rispose:

“Buongiorno!
Buongiorno!
Buongiorno!”
Rassicurato, il giovane gridò ancora:
“Vorrei essere vostro amico!”
L’eco rimbalzò tra le rocce:
“Amico!
Amico!
Amico!”

Brano senza Autore

La bambina salvata

La bambina salvata

Una bambina, i cui genitori erano morti, viveva con la nonna e dormiva in una camera al piano di sopra.
Una notte vi fu un incendio nella casa e la nonna perì cercando di salvare la bambina.
Il fuoco si diffuse rapidamente e il primo piano della casa fu ben presto avvolto dalle fiamme.
I vicini chiamarono i pompieri, poi rimasero lì senza poter fare niente, incapaci di entrare in casa visto che le fiamme bloccavano tutti gli ingressi.
La bambina comparve da una finestra del piano di sopra, chiamando aiuto, proprio quando tra la folla si diffuse la notizia che i pompieri avrebbero tardato di qualche minuto, poiché erano tutti impegnati in un altro incendio.
All’improvviso comparve un uomo con una scala, il quale la appoggiò al fianco della casa e scomparve all’interno.

Quando ricomparve aveva fra le braccia la bambina.

Consegnò la bambina alle mani in attesa lì sotto, quindi scomparve nella notte.
Un’indagine rivelò che la bambina non aveva parenti in vita e, alcune settimane più tardi, si tenne in municipio una riunione per stabilire chi l’avrebbe presa in casa e l’avrebbe allevata.
Un’insegnante disse che le sarebbe piaciuto allevare la bambina.
Mise in risalto che le poteva assicurare una buona istruzione.
Un contadino le offrì di crescere nella sua azienda agricola.
Sottolineò che vivere in campagna era sano e ricco di soddisfazioni.
Parlarono altri, che esposero le loro ragioni per le quali fosse vantaggioso per la bambina vivere con loro.

Alla fine il più ricco cittadino si alzò e disse:

“Io posso offrire alla bambina tutti i vantaggi che voi avete menzionato qui, più i soldi e tutto ciò che si può comprare con i soldi.”
Per tutto questo tempo la bambina era rimasta in silenzio, con gli occhi fissi sul pavimento.
“Nessun altro vuole parlare?” domandò il presidente dell’assemblea.
Dal fondo della sala si fece avanti un uomo.
Aveva un’andatura lenta e sembrava soffrire.
Quando giunse davanti a tutti, si mise direttamente di fronte alla bambina e allungò le braccia.
La folla rimase senza fiato.
Le mani e le braccia erano orribilmente sfigurate.

La bambina esclamò:

“Questo è l’uomo che mi ha salvata!”
Con un balzo, gettò le braccia al collo dell’uomo, tenendolo stretto come per salvarsi la vita, come aveva fatto in quella notte fatale.
Nascose il volto nelle spalle di lui e singhiozzò per qualche istante.
Quindi alzo gli occhi e gli sorrise.
“La seduta è sospesa!” disse il presidente.

Brano tratto dal libro “Brodo caldo per l’anima. Volume 2” di Jack Canfield e Mark Victor Hansen

Scusi, reverendo, che cos’è la dispepsia?

Scusi, reverendo, che cos’è la dispepsia?

Nello scompartimento c’era solo un anziano sacerdote, che bisbigliava il suo breviario.
Alcune stazioni dopo, entrò (nello scompartimento) un giovane dall’aspetto trasandato:

capelli lunghi, jeans bisunti, scarpe sformate.

Ma soprattutto un giornale, notoriamente laicista e antiecclesiale, che gli spuntava dalla tasca.
Il sacerdote seguì il giovane con un lungo ed eloquente sguardo di disapprovazione.
Il giovane si sedette e cominciò a leggere il suo giornale.

Dopo un po’ alzò la testa e chiese:

“Scusi, reverendo, che cos’è la dispepsia?”
“Ecco una buona occasione per fargli un po’ di predica!” pensò il sacerdote e ad alta voce proseguì:
“La dispepsia è una malattia terribile che prende quelli che vivono male, senza orari e senza ideali, concedendosi tutti i vizi e gli stravizi, che non si ricordano che Qualcuno ci vede e ci giudicherà!”

Il giovane seguiva il discorso con curiosità e anche con un po’ di apprensione.

“Ah,” disse alla fine, “perché qui c’è scritto che il Papa ha la dispepsia!”

Ciascuno nota negli altri ciò che vuol vedere o sentire.
Si è così presi talora dai propri pensieri che non si ascolta veramente il prossimo.

“Non si seziona un uccello per trovare l’origine del suo canto.
Quel che si deve sezionare è il proprio orecchio.”
Citazione di Joseph Brodsky.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Concorso di bellezza

Concorso di bellezza

Una nota azienda produttrice di prodotti di bellezza invitò gli abitanti di una grande città a segnalare i nominativi, allegando anche le foto, delle donne più belle che conoscessero.
Nell’arco di poche settimane la società ricevette migliaia di lettere.
Una lettera in particolare catturò l’attenzione dei selezionatori e fu subito consegnata al presidente.
Era stata scritta da un ragazzo con problemi famigliari che viveva in un quartiere degradato.

Dopo le correzioni ortografiche, la lettera diceva:

“C’è una donna bellissima che vive in fondo alla strada dove abito io.
Vado a trovarla tutti i giorni.
Mi fa sentire il bambino più importante del mondo.

Giochiamo a dama e lei ascolta i miei problemi…

Lei mi capisce e quando vado via si ferma sulla porta e mi grida che è fiera di me.”
Il ragazzo concludeva la lettera dicendo:
“Questa immagine mostra che lei è la donna più bella, spero di avere una moglie bella come lei.”
Incuriosito, il presidente chiese di vedere la foto della donna.

La sua segretaria gli porse una foto di una donna sorridente,

senza denti, avanti negli anni, seduta su una sedia a rotelle.
I pochi capelli bianchi erano raccolti in uno chignon e le rughe che formavano profondi solchi sul suo viso sembravano attenuarsi alla luce dei suoi occhi.
“Non possiamo usare questa donna.” disse il presidente con un sorriso, “Mostrerebbe al mondo intero che i nostri prodotti non sono necessari per essere belle.”

Brano tratto dal libro “More stories for the heart.” di Carla Muir