Tonto Zuccone, girovagando

Tonto Zuccone, girovagando
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La macchina

A Venezia

Il risotto con le mosche

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“La macchina”

Tonto Zuccone, dopo ripetuti tentativi ed una raccomandazione non tanto trasparente, prese la patente di guida per la macchina.
Stupì tutti perché acquistò una macchina nuova, rosso fiammante, invece di una usata per impratichirsi nella guida.
Scorrazzava felice per le vie del paese, esibendo il suo gioiello rosso con uno stuolo di amici a bordo.
Mutò d’umore quando svoltando a destra sentiva uno strano rumore in macchina e lo stesso quando girava a sinistra.

Andò a farla benedire da un sacerdote amico credendola stregata, ma niente, i rumori persistevano.

Tornò dal concessionario, deluso, per la riparazione o per una eventuale sostituzione essendo ancora in garanzia.
I meccanici incuriositi dallo strano caso fecero un giro di prova e tornarono quasi subito ridendo per quello che avevano scoperto.
Il rumore era causato da due latine di Coca Cola vuote, abbandonate dagli amici di scorribande, che ruzzolavano nella parte posteriore della vettura ad ogni sterzata o sobbalzo.
L’episodio bastò a far perdere a Tonto ogni interesse per la macchina, il quale tornò alla sgangherata bicicletta.

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“A Venezia”

Tonto Zuccone andò per la prima volta a visitare, da solo, la tanto desiderata Venezia.
Dopo aver chiesto informazioni, gli fu indicato di prendere un vaporetto per fare un giro turistico per le vie d’acqua e poter, così, ammirare la meraviglia dell’Adriatico con i suoi palazzi, calli e canali.
Si recò alla biglietteria con una certa titubanza e l’addetto in divisa, vedendolo impacciato, gli chiese dove volesse recarsi.

Tonto gli diede una grossa banconota e gli disse:

“Dovunque e da nessuna parte!”
Il bigliettaio, abituato ad aver a che fare con turisti da tutto il mondo, intuì con chi stava parlando e replicò:
“Si vede anche da lontano che sei Tonto in visita a Venezia!”
La cosa stupì lo spaesato campagnolo che domandò stupito:
“Come fate a conoscermi anche qui?
Non credevo di essere così famoso!”

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“Il risotto con le mosche”

Il risotto è un piatto tipico della tradizione del nord Italia e sta diventando sempre di più un piatto nazionale.
Forti del primato produttivo e qualitativo del riso nostrano, essendo degli storici e accorti produttori, non temiamo il confronto con quelli di dubbia importazione e dal prezzo stracciato.
I nostri bravi chef, di tramandata e gloriosa tradizione gastronomica, lungo tutto lo stivale, propongono i risotti nelle varianti con il prezioso zafferano, con le verdure di stagione, ai funghi, con carni e pesci e, chi più ne ha, più ne metta.

Alcuni anni fa, Tonto Zuccone fu invitato ad un pranzo di battesimo da un amico in terra Feltrina, nel Bellunese.

Dopo gli antipasti di rito, nel menù non poteva mancare di certo il risotto fatto secondo la tradizione locale, con i resti della carne di cacciagione, tagliati a sottili pezzettini che risultavano alla vista di colore scuro, chiamato per questo motivo risotto con le mosche, per la somiglianza con gli insetti dittari.
La neo mamma, nonché provetta cuoca, era particolarmente fiera di questo piatto tramandato gelosamente dalle sue ave e chiese con un pizzico di orgoglio a Tonto se gradisse il suo risotto con le mosche e se lo avesse mai gustato prima.
Tonto a sentirlo nominare ed alla vista della portata ebbe una reazione di disgusto e di netto rifiuto.

Questo evento fece ridere la cuoca, ma anche gli altri commensali, a crepapelle.

Ascoltata la risposta di Tonto, la padrona di casa disse scherzando che ad ogni mosca aveva tolto la testa e le zampe, soprattutto per omaggiare il gradito ospite.
Tonto non volle sentire ulteriori spiegazioni, fu sufficiente vedere ed ascoltare il nome del piatto per rimanere, ancor di più, perplesso e basito della strana, per lui, cucina locale.
Rinunciò ad ottimo risotto, eseguito con cottura e mantecatura perfette.
Il risotto con le mosche è una specialità tutta feltrina, di nicchia gastronomica, non contemplata nei manuali di cucina e gelosamente tramandata da generazione in generazione, che solo un “tonto” come Tonto poteva rifiutare a priori.

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

La forchetta mancante

La forchetta mancante

Ad una nobildonna veneta venne svaligiata, durante una assenza, la villa di campagna, nonostante vari e costosissimi sistemi d’allarme.
I professionisti di questo fastidioso crimine avevano sottratto vari oggetti di valore, tra cui un servizio di posate d’argento con incise le iniziali della casata che, negli anni, si era distinta in fatto di armi e, in seguito, per aver organizzato cenacoli per letterati e artisti di acclamata fama, tra cui il gaudente e avventuroso Giovanni Casanova.

Le posate in questione avevano, per la contessa,

un valore inestimabile poiché erano state usate in numerosi pranzi e cene da favola, composte da numerose portate, con il bel mondo di cui amava, anche in quel momento, circondarsi al desco.
Una sua vecchia e sagace domestica le aveva suggerito di nascondere in un altro posto una forchetta del prezioso servizio e che, solo un giorno, avrebbe capito il perché del suo singolare stratagemma.

Dopo la denuncia di prassi alle forze dell’ordine,

la derubata lasciò passare un breve periodo dopodiché iniziò ad andare nei mercatini di antiquariato sperando di recuperarle.
In una bancarella le fu facile individuare il suo servizio d’argento esposto in vendita ad un prezzo ribassato per la mancanza di una forchetta dal servizio da dodici.
All’incauto antiquario la contessa mostrò la forchetta mancante che si era portata appresso nella borsetta, intimandogli:

“Ti consiglio di ridarmi il mal sottratto,

se non vuoi essere denunciato per ricettazione, avendo con me la prova del furto!”
Saggio e lungimirante fu il consiglio della domestica per tornare in possesso con facilità del prezioso servizio e la forchetta nascosta si mostrò essere, come il coperchio mancante della pentola del diavolo, determinante per smascherare i progetti criminosi.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La signora ed il cameriere (Il cucchiaio)

La signora ed il cameriere
(Il cucchiaio)

Nel ristorante più lussuoso della città, una signora ordinò come prima portata una vellutata zuppa di asparagi, vanto del locale.
Qualche minuto dopo, un cameriere gentile le mise davanti un piatto fumante dal profumo delizioso e si ritirò.

“Cameriere!” gridò la donna, “Venga qui!”

“Signora?” rispose il cameriere avvicinandosi.
“Assaggi questa zuppa!” ordinò la cliente.
“Che succede, signora?
È troppo salata?” domandò il cameriere.

“Assaggi la zuppa!” replicò la signora.

“È fredda?” chiese, allora, il cameriere.
“Assaggi la zuppa!” gridò la donna.
“Scusi, signora, se posso sapere il motivo…” esitò il cameriere.
“Se vuole saperlo assaggi la zuppa!” ribadì la donna, indicando il piatto.
Il cameriere, vedendo che era impossibile far cambiare parere alla donna, si sedette al tavolo e dopo aver cercato intorno al piatto disse con sorpresa:

“Ma qui manca il cucchiaio!”

“Ha visto?” esclamò trionfante la donna, “È proprio quello che cercavo di dirle:
manca il cucchiaio!”

Brano senza Autore

Ricordati che io sono qui!

Ricordati che io sono qui!

Questa è la storia di un ghetto che cessò di esistere, e di un uomo che faceva da sacrestano nella sinagoga.
Costui, ogni mattina, prima di incominciare le pulizie dentro la sinagoga, saliva sul pulpito e gridava, con fierezza:
“Sono venuto ad annunciarti, Signore dell’Universo, che noi siamo qui!”

Sul ghetto si abbatté la persecuzione razzista.

Cominciarono le difficoltà, i linciaggi.
Ma ogni mattina, il sacrestano saliva sul pulpito della sinagoga e gridava, qualche volta con ira:
“Sono venuto ad annunciarti, che noi siamo qui!”
Venne il primo massacro, seguito da molti altri.
Il sacrestano ne usciva sempre indenne, e sempre si precipitava nella sinagoga per battere il pugno sul banco e gridare fino a spolmonarsi:

“Vedi, Signore dell’Universo, siamo ancora qui!”

Dopo l’ultimo massacro, si ritrovò solo nella sinagoga deserta.
Ultimo ebreo vivente, salì sulla tribuna un’ultima volta.
Alzò verso l’alto lo sguardo e mormorò con dolcezza infinita:
“Vedi? Sono sempre qui!”

Si fermò un istante, prima di aggiungere con voce roca e triste:

“Ma tu, dove sei, tu?”
Per questo preghiamo.
Preghiamo ogni giorno per dire a Dio:
“Ricordati che io sono qui!”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.
Per non dimenticare! Giornata della Memoria.

Da domani sarò triste

Da domani sarò triste

Da domani sarò triste, da domani.
Ma oggi sarò contento.

A che serve essere tristi, a che serve.

Perché soffia un vento cattivo?
Perché dovrei dolermi, oggi, del domani?
Forse il domani è buono.

Forse il domani è chiaro.

Forse domani splenderà ancora il sole.
E non vi sarà ragione di tristezza.

Da domani sarò triste, da domani.

Ma oggi, oggi sarò contento e, ad ogni amaro giorno dirò:
“Da domani, sarà triste. Oggi no.”

Poesia di un ragazzo trovata in un Ghetto nel 1941.
Per non dimenticare! Giornata della Memoria.

Racconti… per non dimenticare! Giornata della Memoria

Racconti… per non dimenticare! Giornata della Memoria Sito Racconti con Morale —————————– Da domani sarò triste —————————– L’ex prigioniero —————————– Poi vennero a prendere… —————————–…

La cosa più forte

La cosa più forte

Un giorno un ragazzo chiese al vecchio saggio del paese… quale fosse la cosa più forte.

Il saggio dopo qualche minuto gli rispose:

“Le cose più forti al mondo sono nove:
Il ferro è forte, ma il fuoco lo fonde.
Il fuoco è forte, ma l’acqua lo spegne.

L’acqua è forte ma nelle nuvole evapora.

Le nuvole sono forti ma il vento le disperde.
Il vento è pure esso forte ma la montagna lo ferma.
La montagna è forte, ma l’uomo la conquista.

L’uomo è forte ma purtroppo la morte lo vince.”

“Allora è la morte la più forte!” lo interruppe il ragazzo.
“No!” continuò il vecchio saggio, “L’amore… sopravvive alla morte!”

Brano tratto dal libro “50 Racconti per Meditare… e da Regalare.” di Ramiro Antonio Calle Capilla

Ramiro Antonio Calle Capilla

Ramiro Antonio Calle Capilla autore del Brano “La cosa più forte.” tratto dal libro “50 Racconti per Meditare… e da Regalare.” Ramiro Antonio Calle Capilla…

Aiutare

Aiutare

Marito e moglie erano sulle scale alle prese con un pesante cassettone.
Li vide un cognato.
“Vi do una mano!” disse accorrendo.

E afferrò un angolo del mobile.

Qualche minuto dopo, incapaci di muovere il cassettone anche di un solo centimetro, i tre si concedettero qualche minuto di riposo.
“Che fatica portare su questo cassettone!” commentò il cognato.

Marito e moglie scoppiarono a ridere:

“Noi stavamo cercando di portarlo giù!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La pagano sempre i topi

La pagano sempre i topi

L’alto dirigente piombò all’improvviso nell’ufficio e rimproverò aspramente il povero responsabile della sezione.
Il responsabile diede una solenne lavata di capo all’impiegato.

L’impiegato chinò la testa,

ma tornato a casa si sfogò urlando con la moglie.
La moglie si rivalse con la figlia che non aveva messo in ordine la stanza.

La ragazza sferrò una pedata al cane che

si mise a inseguire rabbiosamente il gatto.
La storia si concluse con la morte dei topi.

Questo è ciò che sta accadendo nelle nostre società, nelle nostre comunità.

Questo è ciò che passa di generazione in generazione.

Aggressione e violenza si spostano dal più forte al più debole.
La pagano sempre i topi.

Brano senza Autore