Tre racconti di Bruno Ferrero su Giovanni Maria Vianney

Tre racconti di Bruno Ferrero su Giovanni Maria Vianney
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La sfida tra fratelli

L’ultimo della classe

Egli guarda me ed io guardo Lui

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“La sfida tra fratelli”

 

Giovanni Maria Vianney ancora fanciullo, aveva un fratello maggiore di lui, di nome Francesco, che lo prendeva sempre in giro per le sue incapacità e per la sua religiosità.
Come fare per avere una giusta rivincita?
Si propose un modello e questo lo trovò in una piccola statuina della Madonna, che una religiosa gli aveva regalato.
Sentite come ebbe la prima vittoria sul fratello.
Mandati tutti e due a zappare nel campo, Francesco, essendo più grande, lo anticipava e lo precedeva nel lavoro.
Come raggiungerlo?

Giovanni Maria pose alcuni passi davanti a sé la statuina:

guardandola, si rincuorava nel lavoro, si sforzava di più e raggiungeva il fratello.
Ma il fratello partiva per la rivincita.
Ecco allora che il piccolo riprendeva l’immagine, la collocava di nuovo davanti a sé, si entusiasmava nel lavoro e progrediva.
Così facendo, tenne testa fino a sera al fratello, che a casa dovette, non senza dispetto, confessare alla madre, che Giovanni Maria aveva fatto tanto lavoro come lui.
Ma aggiungeva:
“La sfida non è stata giusta!
Io ero solo, ma lui no, aveva ad aiutarlo la Vergine Maria!”

Brano tratto dal libro “Mese di maggio per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.
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“L’ultimo della classe”

 

Quando era seminarista, Giovanni Maria Vianney, il futuro santo Curato d’Ars, aveva enormi difficoltà con la scuola.
Non riusciva a capire neppure le nozioni più semplici.
I superiori del seminario lo avevano rimandato a casa più volte.
Ma lui caparbiamente insisteva.
Aveva ormai 21 anni e sedeva in aula con ragazzi che avevano dieci anni meno di lui.

Uno di questi, undicenne, cominciò ad aiutarlo nello studio.

Giovanni Battista Vianney era molto grato al suo piccolo maestro, ma le difficoltà persistevano:
non capiva, non ricordava, si smarriva, balbettava.
Il ragazzino si lamentò di questo con i compagni di scuola.
Giovanni Maria Vianney lo sentì.
Si alzò dal suo banco, si inginocchiò davanti al ragazzino e gli disse:
“Perdonami perché sono così stupido.”

Brano di Bruno Ferrero.
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“Egli guarda me ed io guardo Lui”

 

Il Santo Curato d’Ars (Giovanni Maria Vianney) incontrava spesso, in Chiesa, un semplice contadino della sua Parrocchia.
Inginocchiato davanti al Tabernacolo, il brav’uomo rimaneva per ore immobile, senza muovere le labbra.

Un giorno, il Parroco gli chiese:

“Cosa fai qui così a lungo?”
“Semplicissimo.
Egli guarda me ed io guardo Lui!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La birra del cinese

La birra del cinese

Nel mio paese, Levada, c’è un caratteristico bar chiamato “La Curva”.
Frequento questo bar da tempo immemore, sia per gustare l’ottimo caffè proposto, ma anche, o soprattutto, per scambiare quattro chiacchere con gli amici.
A gestirlo con passione, professionalità e solerzia, fino a qualche anno fa, era il mio amico Carlo:

un mito per noi clienti affezionati.

Il bar “La Curva” è anche tappa di tanti avventori di passaggio, provenienti dalle più impensate nazioni del Mondo.
Più che un bar dello sport è un vero e proprio bar “teatro”, nel quale si sono succedute innumerevoli scene di puro divertimento, che continuano tuttora.
Un pomeriggio di qualche anno fa entrò nel locale un cinese mai notato prima che, dopo aver fatto un mezzo inchino, con un italiano stentato contraddistinto dal caratteristico accento orientale, chiese timidamente:

“Una pila piccola!”

Carlo gli rispose dispiaciuto che le pile non le aveva, ma le batterie di ricambio sì e, solerte, gliele mostrò, prendendole dal settore tabaccheria.
Il cinese, scuotendo la testa, insisteva nel dire:
“Una pila! Una pila!” ed alla fine, per farsi capire, indicò i capelli biondi di una ignara ragazza seduta al tavolino che, imbarazzata, diventò tutta rossa in volto.
Al barista, e a tutti noi, fu facile capire che voleva bere una semplice birra bionda.
La scena a cui assistemmo fu, alla fine, di una comicità unica, allietandoci la giornata al costo modico di un caffè.

Tutto questo può accadere solo nei bar delle piccole comunità.

Le piccole attività andrebbero sostenute, per il loro ruolo sociale di intrattenimento e di mediazione culturale, per evitare che, le stesse, siano costrette a dover chiudere, sia per il magro fatturato degli ultimi mesi che per gli elevati costi di gestione fissi da sostenere, aggravati in questo periodo dai decreti restrittivi, causati dall’insidioso e babelico covid-10 (coronavirus).

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Perché non abbiamo le scarpe?

Perché non abbiamo le scarpe?

Si racconta di un uomo che arrivò in una città una fredda mattina d’inverno.
Come entrò nell’albergo, notò che ognuno là dentro girava scalzo, incluso il personale e i clienti.
Sedutosi al tavolo per la colazione, incuriosito chiese al cameriere:
“Perché non avete le scarpe?

Non le conoscete?”

“Ovvio che conosciamo le scarpe!” replicò il cameriere un po’ offeso.
“E allora perché non le calzate?” chiese il visitatore.
“Ah, questa è una buona domanda.” rispose il cameriere, “Già! Perché non abbiamo le scarpe?”
Dopo colazione il visitatore volle fare un giro per la città, ammantata di neve.
Anche per le strade la gente girava scalza.
Stupito, chiese a un passante:
“Perché non avete le scarpe?
Non sapete che vi proteggono i piedi e rendono la vostra vita più confortevole?”

Il passante rispose:

“Credetemi, signore, noi sappiamo tutto sulle scarpe.
Vede quell’edificio?
Quella è una fabbrica di scarpe.
Siamo così fieri di quella fabbrica che ci riuniamo là dentro una volta alla settimana e l’amministratore ci spiega quanto siano meravigliose e utili le scarpe!”
“E allora perché non le avete addosso?” insistette il visitatore.
“Ah, questa è davvero una domanda interessante!” rispose il passante, “Già! Perché non abbiamo le scarpe?”

Quando si tratta di preghiera, molti cristiani sono come le persone di quella strana città.
Sanno tutto sulla preghiera.
Credono che essa sia utile.
Sanno quante benedizioni e pace sgorghino dalla preghiera.
Spesso in chiesa ascoltano anche prediche sull’importanza della preghiera.

Ma se si chiede loro:

“Perché non preghi di più?” o “Perché non preghi assieme a tuo marito, a tua moglie e ai tuoi figli?” questi cristiani ti rispondono:
“Già! è una bella domanda.
Perché non lo faccio?”

Brano senza Autore

Cosa si mette in salvo in caso di disastro?

Cosa si mette in salvo in caso di disastro?

“In caso di un improvviso disastro, qual è la prima cosa che la gente mette in salvo?”
In una bella tavolata di amici, che si erano ritrovati insieme in casa di uno di loro per un compleanno con le rispettive mogli e con figli, durante l’aperitivo, questa domanda suscitò una vivace discussione.

“Il libretto degli assegni!” disse uno.

“Gli oggetti preziosi!” suggerì una donna.
“I figli!” disse deciso un altro.

E mise tutti d’accordo.

In caso di un improvviso cataclisma tutti avrebbero pensato per prima cosa ai figli.
In quel momento saltò il coperchio della pentola a pressione in cucina e uno sbuffo di vapore entrò nella stanza.

Nel giro di pochi secondi,

tutti fuggirono fuori, rovesciando sedie e bicchieri.
Ad eccezione dei bambini, che furono dimenticati in casa a giocare sul pavimento.

Brano senza Autore

La piccola vite

La piccola vite

Nello scafo di una gigantesca nave c’era una piccola vite, minuscola e insignificante, che insieme con altre viti, piccole e insignificanti come lei, teneva insieme due piastre d’acciaio.
Durante un viaggio in mezzo all’Oceano Indiano la piccola vite decise di averne abbastanza di quella sua esistenza oscura e mal ripagata (in tanti anni mai nessuno le aveva detto “grazie” per quello che faceva) e sbottò:

“Me ne vado!

Ho deciso!”
“Se te ne vai tu, ce ne andiamo anche noi!” dissero le altre viti.
Infatti, appena la piccola vite cominciò a ballare nel suo alloggiamento, anche le altre presero a traballare.
Ad ogni ondata, un po’ di più.

I chiodi che stringevano il fasciame della nave protestarono:

“Così anche noi siamo costretti a lasciare il nostro posto…”
“Per amor del cielo, fermati!” gridarono alla vite le piastre d’acciaio, “Se non c’è più nessuno che ci tiene insieme, per noi è finita!”
L’intenzione della piccola vite di lasciare il suo posto si propagò in un attimo per tutto il gigantesco scafo della nave.
L’intera struttura, che prima sfidava le onde con tanta sicurezza, cominciò a cigolare penosamente e a tremare.
Tutte le piastre, le nervature, le assi, le viti e anche i piccoli chiodi della nave decisero allora di mandare un messaggio alla vite perché rinunciasse al suo proposito:

“Tutta la nave si sfascerà, affonderà e nessuno di noi rivedrà la patria!”

La piccola vite si sentì lusingata da queste parole e scoprì improvvisamente di essere molto più importante di quanto pensava.
Allora mandò a dire a tutti che sarebbe rimasta al suo posto.

Brano tratto dal libro “365 piccole storie per l’anima.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’uomo e la pompa dell’acqua

L’uomo e la pompa dell’acqua

Un uomo si era perso in un territorio pietroso e arido!
Il sole dardeggiava implacabile e rendeva tutto rovente.
L’uomo era allo stremo delle forze!
Poco prima di crollare vide una casupola abbandonata.

Si trascinò, fin là, penosamente!

Davanti alla casa c’era un abbeveratoio malandato con una pompa a mano.
Si buttò sulla maniglia e cominciò ad agitarla come un pazzo.
La pompa cigolava ma non ne uscì una sola goccia d’acqua.
All’ombra della pompa l’uomo notò una brocca di vetro, accuratamente chiusa con un tappo di sughero, e un biglietto infilzato sul tappo!
La brocca era piena d’acqua.
Con le mani tremanti l’uomo si portò il biglietto vicino agli occhi bruciati dal sole e lesse:
“Amico!
Se vuoi che la pompa funzioni devi prima riempirla con tutta l’acqua della brocca.
Alla fine, prima di andartene, ricordati di riempire di nuovo d’acqua la brocca!”
Pensieri contrastanti dilaniarono l’uomo.

Stava morendo di sete:

doveva proprio sprecare tutta quell’acqua e buttarla nella pompa?
Era così arrugginita!
E se non avesse funzionato?
Se avesse bevuto l’acqua della brocca si sarebbe salvato ma, in questo caso, chi fosse arrivato dopo di lui non avrebbe avuto alcuna speranza di salvezza!
Che cosa doveva fare?
Salvarsi o rischiare per dare anche ad altri la possibilità di sopravvivere?
Una voce interiore gli suggerì di rischiare!
Versò di colpo l’acqua della brocca nella pompa e poi si attaccò disperatamente alla leva, manovrando con tutte le forze che gli rimanevano.
La pompa tossicchiò un paio di volte ma poi, dopo uno starnuto, cominciò a buttare acqua fresca e pulita!
“Grazie, grazie!” mormorava l’uomo dissetandosi e facendosi scorrere l’acqua addosso.
Prima di ripartire riempì accuratamente la brocca e la tappò.

Poi aggiunse una riga al biglietto:

“Credici amico: funziona!
Dai tutto alla pompa:
te ne restituirà in abbondanza!”

Brano senza Autore

Il pellegrino ed il barcaiolo (I remi “Fede” e “Opere”)

Il pellegrino ed il barcaiolo (I remi “Fede” e “Opere”)

Un giorno, un uomo si stava dirigendo in pellegrinaggio verso un paese lontano!
Mentre era in cammino, solitario, verso il luogo di destinazione giunse presso la riva di un fiume.
Non sapendo come continuare il suo viaggio a causa delle profonde acque notò poco distante un barcaiolo che,

con la sua piccola imbarcazione,

svolgeva il proprio lavoro trasportando i passanti da una riva all’altra del fiume!
Il pellegrino, dopo essersi informato dal barcaiolo sul prezzo del trasporto, si accomodò tranquillamente sulla barca, per essere trasportato sulla sponda opposta del fiume.
Mentre si trovavano nel centro del fiume, il pellegrino notò che i remi della barca erano incisi da un’iscrizione a grandi caratteri!

Il primo remo portava la scritta “fede” mentre il secondo “opere.”

L’uomo, mosso da curiosità, domandò al barcaiolo quale fosse il significato di tali incisioni!
E, senza dire neanche una parola, il barcaiolo tirò sopra la barca il remo con la scritta “opere” e, remando solo con l’altro, la barca incominciò a girare su se stessa.
Poi portò sull’imbarcazione il remo con la scritta “fede” e, gettato in acqua quello delle “opere”, anche questa volta la barca girò su se stessa!
A questo punto, sotto lo sguardo attento del pellegrino, il barcaiolo fece scendere in acqua tutti e due i remi e, finalmente,

l’imbarcazione riprese la giusta direzione per raggiungere la meta.

Il pellegrino annuì pensieroso e disse:
“Adesso capisco!”

Brano senza Autore

Il fiume ed il deserto

Il fiume ed il deserto

Un fiume, durante la sua tranquilla corsa verso il mare, giunse a un deserto e si fermò.
Davanti ora aveva solo rocce disseminate di anfratti e caverne nascoste, dune di sabbia che si perdevano nell’orizzonte.

Il fiume fu attanagliato dalla paura.

“È la mia fine.
Non riuscirò ad attraversare questo deserto.
La sabbia assorbirà la mia acqua ed io sparirò.
Non arriverò mai al mare.
Ho fallito tutto!” si disperò.
Lentamente, le sue acque cominciarono a intorpidirsi.
Il fiume stava diventando una palude e stava morendo.
Ma il vento aveva ascoltato i suoi lamenti e decise di salvargli la vita.
“Lasciati scaldare dal sole, salirai in cielo sotto forma di vapore acqueo.
Al resto penserò io!” gli suggerì.

Il fiume ebbe ancor più paura:

“Io sono fatto per scorrere fra due rive di terra, liquido, pacifico e maestoso.
Non sono fatto per volare per aria!”
Il vento rispose:

“Non aver paura.

Quando salirai nel cielo sotto forma di vapore acqueo, diventerai una nuvola.
Io ti trasporterò di là del deserto e tu potrai cadere di nuovo sulla terra sotto forma di pioggia, e ritornerai fiume e arriverai al mare!”
Ma il fiume aveva troppa paura e, alla fine, fu divorato dal deserto.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La bambola di pezza

La bambola di pezza

Durante il periodo della seconda guerra mondiale la vita era diventata difficilissima, con stenti e privazioni.
A soffrirne di più erano gli anziani e i bambini, che con le loro aspettative, chiedevano alla vita di poter sognare e giocare, desideri propri di tutti i bambini.

Fiorella desiderava tanto avere una bambola tutta sua con cui giocare,

ma la sua mamma gli ripeteva che erano poveri contadini dal pane con sette croste e che non potevano permettersi l’acquisto.
A tanto insistere la genitrice ne fece una con i ritagli di stoffa colorata, copiandola da una rivista, mettendo a frutto la sua abilità di sarta, e la imbottì di morbida crusca per renderla più piacevole al tatto.

Grande fu la gioia della bambina che la portava sempre con sé per giocarci, sia in casa che in cortile.

In questo, però, scorrazzavano libere delle galline dall’occhio sempre curioso che, in un momento in cui la bambola fu abbandonata, notarono la fuoriuscita da una cucitura di un po’ di crusca e fecero a gara per divorarla, tanto che la svuotarono in un baleno.
Fiorella, nello scoprire la distruzione della sua bambola, si mise a piangere a dirotto.
La sua mamma cercò di consolarla promettendole di rifare l’imbottitura in tempi brevi dicendole, inoltre, che a cena avrebbe mangiato un uovo intero invece del solito mezzo,

poiché le galline si erano nutrite della crusca della sua bambola.

La promessa di un uovo intero riservato, solitamente, ai grandi, le fece tornare un inaspettato sorriso, perché la fame era una brutta bestia che andava domata.
Galeotta fu una bambola di pezza svuotata della crusca da galline altrettanto affamate da una inutile guerra.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La storia di un vaccino contro il coronavirus

La storia di un vaccino contro il coronavirus

Una anziana signora, nonna di diversi nipoti, influenzata dai No-Vax, era contraria a qualunque vaccino per immunizzarsi dal coronavirus (covid19), condividendo teorie complottiste, e quant’altro, inculcate dalla badante negazionista.
La nipote, incaricata di sovraintendere ai suoi bisogni, era preoccupata per il testardo diniego e, non riuscendo a convincerla con ragionamenti logici e scientifici, pensò, conoscendo la sua intima indole, ad uno stratagemma.

Le promise che, qualora avesse fatto il vaccino, sarebbe stata fotografata e postata nei social.

La nonnina era sensibilissima a questo tema poiché, fin da piccola, aveva sognato di fare l’attrice.
Aveva coltivato questa sua passione negli anni, arrivando anche a far parte di una compagnia teatrale, ma solo a livello amatoriale.
Giunto il giorno programmato per l’iniezione, la meticolosa nipote, nell’accompagnarla, spiegò allo staff medico la problematica e gli addetti si prestarono ben volentieri alla sceneggiata, anche per cambiare, per un momento, l’atmosfera triste che si respirava nell’ospedale.

In tre immortalarono con il loro smartphone il momento fatidico del vaccino,

offrendo altresì un bel mazzo di fiori alla signora, ovviamente comprato dall’amorevole nipote.
Gli occhi della nonnina, vedendo esaurito il suo desiderio da prima donna, si illuminarono per la gioia e, dopo questo istante, sopraggiunse una lacrima di felicità, poiché era stata trattata, a suo dire, come la regina Elisabetta.

Quella inaspettata reazione fece bene anche agli operatori sanitari.

Fece intravedere loro uno spiraglio di luce in fondo al tunnel della pandemia.
In tantissimi casi un gesto, che può essere considerato insignificante, può, in realtà, essere determinante a raggiungere un nobile obbiettivo, come quello di debellare l’insidioso virus.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno