Il rabbino ed il guardiano

Il rabbino ed il guardiano

Una storia ebraica narra di un rabbino saggio e timorato di Dio che, una sera, dopo una giornata passata a consultare i libri delle antiche profezie, decise di uscire per la strada a fare una passeggiata distensiva.

Mentre camminava lentamente per una strada isolata,

incontrò un guardiano che camminava avanti e indietro, con passi lunghi e decisi, davanti alla cancellata di un ricco podere.
“Per chi cammini, tu?” chiese il rabbino, incuriosito.
Il guardiano disse il nome del suo padrone.

Poi, subito dopo, chiese al rabbino:

“E tu, per chi cammini?”
Questa domanda, conclude la storia, si conficcò nel cuore del rabbino.

E tu, per chi cammini?
Per chi sono tutti i passi e gli affanni di questa giornata?
Per chi vivi?

Puoi vivere solo per qualcuno.

Ad ogni passo, oggi, ripeti il suo nome.
Mai avrai avuto una giornata così leggera.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il problema dell’orologio

Il problema dell’orologio

C’era una volta un orologio di bell’aspetto che troneggiava su un elegante comò e faceva con entusiasmo il suo lavoro.
Come ogni buon orologio aveva un cuore che ticchettava due battiti al secondo:

“Tic-tac, tic-tac, tic-tac, …”

Così fin dal giorno in cui era uscito dal laboratorio di uno dei migliori orologiai della città.
La sua vita scorreva tranquilla finché nel suo cervello di luccicanti ingranaggi, quasi fosse un granellino di micidiale polvere, si insinuò un dubbio:
“Due battiti al secondo significano centoventi ticchettii al minuto, settemila e duecento battiti all’ora, centosettantaduemilaottocento al giorno, un milione duecentonovemila e seicento alla settimana, sessantaduemilioni ottocentonovantanovemila e ottocento ticchettii all’anno, …”
I delicati ingranaggi dell’orologio emisero un cigolio lamentoso.
“Sessantaduemilioni ottocentonovantanovemila e ottocento ticchettii all’anno!
È impossibile.
Non ce la farò mai!”
In breve, il dubbio si trasformò in panico e poi in profonda depressione.
Così, un giorno, l’orologio prese appuntamento dal miglior psico-orologiaio della città.

“Qual è il suo problema?” chiese gentilmente il dottore.

“Oh, dottore,” si lamentò, “mi è stato affidato un compito immane, nettamente al di sopra delle mie forze.
Devo emettere due battiti al secondo, cioè cento e venti ticchettii al minuto, settemila e duecento battiti all’ora, centosettantaduemilaottocento al giorno, un milione duecentonovemila e seicento alla settimana, sessantaduemilioni ottocentonovantanovemila e ottocento ticchettii all’anno!
E per molti anni!
Non posso farcela!”
“Un momento!” interloquì lo psichiatra, “Quanti ticchettii devi fare alla volta?”
“Un tic alla volta, poi un tac, poi un altro tic e così via!” rispose l’orologio.
“Questa è la cura che ti consiglio:
vai a casa, mettiti tranquillo e pensa ad un tic alla volta, concentrati su ogni tic e goditelo.
Uno alla volta:
non ti preoccupare del successivo!

Pensi di riuscirci?” domandò lo psichiatra.

“Un tic e un tac alla volta!
Ma certo!” rispose l’orologio.
Tornò a casa e non si preoccupò più.

Brano senza Autore

Il sovrano e la meridiana

Il sovrano e la meridiana

Un sovrano orientale portò, da un viaggio in Occidente, una meridiana per i suoi sudditi, che non conoscevano ancora le ore.
Quel regalo singolare cambiò la vita della gente del regno.
I sudditi, guardando la meridiana, impararono rapidamente a dividere la giornata in ore e a suddividere il tempo a loro disposizione.

Diventarono puntuali, ordinati, fidati e diligenti.

Così, in pochi anni, si guadagnarono agiatezza e ricchezza.
Quando il sovrano morì, i buoni e prosperi sudditi vollero erigere un monumento che lo ricordasse degnamente.
E siccome la meridiana era il simbolo della bontà del re e l’origine della loro ricchezza,

pensarono di costruirle intorno un magnifico tempio con una bella cupola dorata.

Quando il tempio fu completato e la cupola d’oro coprì la meridiana, i raggi del sole naturalmente non poterono più raggiungerla.
Quel filo d’ombra che, grazie al sole, aveva segnato il tempo per i cittadini, naturalmente scomparve insieme al punto d’orientamento costituito dalla meridiana stessa.

Alcuni cittadini smisero di essere puntuali,

altri tornarono ad essere poco precisi e altri ancora si scordarono la diligenza.
Ciascuno per la sua strada senza badare al prossimo.
E tutto il regno andò in rovina!

Brano senza Autore

La voce della conchiglia

La voce della conchiglia

Il Re di “Nonsodove”, essendo ormai vecchio, convocò i suoi tre figli:
Valente, forte e risoluto ma arrogante;
Folco, intelligente ma avido e ambizioso;
Giannino, ancora giovane, il volto lentigginoso, svelto e furbo ma oggetto degli scherzi dei fratelli, che non lo stimavano molto.
Il Re disse ai figli:
“È ora che io designi il mio successore al trono.
Voglio bene a tutti e tre e non so chi scegliere.
Pertanto ho pensato che chi di voi mi porterà lo Smeraldo Verde sarà re.”

I figli sentendo quelle parole strabuzzarono gli occhi:

lo Smeraldo Verde era stato il sogno di tutti i cavalieri, ma tutti coloro che avevano cercato di prenderlo erano morti.
Il re allora disse:
“So che vi ho chiesto una cosa molto difficile, per questo ho pensato di darvi qualcosa che vi potrà giovare!”
Dicendo così aprì un contenitore in cui vi erano una spada, un sacchetto di monete d’oro e una conchiglia.
Il re disse ancora:
“Ecco: rappresentano la mia forza, la mia ricchezza, le mie parole: la lama di questa spada non può essere spezzata, chi avrà queste monete d’oro sarà il più ricco della terra e in questa conchiglia ci sono tutte le mie parole, quelle che vi ho detto da quando siete nati ad oggi. Scegliete!”
Valente e Folco si scambiarono un’occhiatina e scelsero secondo le loro inclinazioni, senza badare a Giannino.
Con mossa rapida Valente afferrò la spada fiammeggiante e Folco il sacco di monete.
Giannino prese la conchiglia e se la legò al collo.
Poi tutti e tre partirono.
Valente sul suo focoso destriero; Folco sulla sua carrozza dorata; Giannino a piedi, ma fischiettando.
Lo Smeraldo Verde si trovava nella grotta Ferrea e per raggiungerla bisognava attraversare per prima la foresta abitata dal bandito Molk.
Valente ingaggiò una furibonda battaglia contro i suoi uomini;
Folco gli offrì centomila monete d’oro, mentre Molk ne voleva di più.
Quando giunse Giannino i fratelli erano ancora là, uno a combattere e l’altro a contrattare.

Portò la conchiglia all’orecchio e sentì la voce del padre che gli diceva:

“Si prendono più mosche con un cucchiaio di miele che con un barile di aceto!”
Giannino preparò una deliziosa bevanda per il bandito e gliela offrì lodando per il suo coraggio e la sua generosità, cosa che mai nessuno gli aveva detto.
Molk, commosso gli chiese cosa volesse in cambio.
Giannino chiese di poter passare con i suoi fratelli attraverso la sua foresta.
Molk glielo concesse.
Giannino portò all’orecchio la conchiglia e sentì ancora la voce del padre:
“Le ore del mattino hanno l’oro in bocca!”
Mentre era ancora notte riprese il cammino; giunse al lago delle tempeste prima dell’alba, quando ancora era ghiacciato e lo poté attraversare.
I fratelli, invece, avendo dormito fino a tardi, quando arrivarono al lago il sole aveva sciolto il ghiaccio e perciò dovettero fare il giro lungo.
Il terzo ostacolo prima della grotta ferrea era la palude della tristezza, immensa e piena d’insidie.
Valente con la sua armatura veniva risucchiato dalle sabbie mobili; la carrozza di Folco si capovolse e tutte le monete andarono a fondo:

tornati indietro, si sedettero ai bordi della palude disperati.

Anche Giannino scivolò tante volte e fu sul punto di temere per la stessa vita, ma ogni volta portava all’orecchio la conchiglia dalla quale gli giungevano le parole del padre che lo guidavano e lo incoraggiavano.
Così riuscì a raggiungere la grotta ferrea e a prendere lo Smeraldo Verde.
Allora, pieno di gioia, gridò:
“Grazie, papà!”

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Stai vicino al generale

Stai vicino al generale

Durante la prima guerra mondiale furono chiamati al fronte anche i giovanissimi appena diciottenni.
L’addio alle famiglie di questi soldatini era straziante.
Alla stazione di una grande città, genitori e amici si stringevano intorno ad un gruppo di soldati in partenza.

Tutti si abbracciavano piangendo:

molti si vedevano per l’ultima volta.
Un uomo stringeva la mano del suo ragazzo e cercava invano di dirgli addio.
I suoi occhi erano pieni di lacrime.
Le mani gli tremavano e non riusciva a parlare.
Quello era il suo unico figlio, lo amava con tutte le sue forze.
Ma che cosa poteva dirgli?
Che cosa poteva riportarglielo a casa?
Il treno fischiò.
I soldati dovevano affrettarsi a salire in carrozza.
L’uomo desiderava raccomandare qualcosa a suo figlio.

Se lo strinse al petto e mormorò:

“Giovannino mio, Giovannino mio!
Non farti uccidere!”
I soldati erano sul treno che stava per partire.
La folla applaudiva e agitava le braccia in segno di saluto.
L’uomo, straziato, fissava il suo Giovanni che lo salutava dal finestrino.
Voleva ancora dirgli qualcosa.
Il treno incominciò a muoversi.

Il padre agitò il braccio.

Poi si aprì un varco tra la folla, si avvicinò al treno e gridò:
“Giovannino, ragazzo mio, stai vicino al generale!”

Brano senza Autore

I cavalieri coraggiosi e Dio

I cavalieri coraggiosi e Dio

C’erano una volta due coraggiosi cavalieri.
Avevano affrontato battaglie, avventure rischiose e messo a repentaglio la vita al soldo di molti signori.
Una sera, uno dei due, guardando il sole che tramontava, disse:
“Mi resta un’ultima impresa!”

“Che cosa?” chiese l’altro.

“Voglio salire sulla montagna dove abita Dio!” esclamò il primo.
“Perché?” domandò il secondo.
“Voglio sapere perché ci carica di pesi e fardelli gravosi per tutta la vita e continua a pretendere sempre di più invece di alleggerire il nostro carico, ogni tanto almeno!” disse, amareggiato, il primo cavaliere.
“Verrò con te.
Ma io penso che Dio sappia quello che fa!” concluse l’altro.

Il viaggio fu lungo e faticoso.

Giunsero al monte di Dio.
Salivano in silenzio accanto ai cavalli poiché il sentiero era ripido e tormentato.
Già si intravedeva la sommità della montagna nella nebbia, quando una voce tuonò dall’alto:
“Prendete con voi tutte le pietre che trovate sul sentiero!”
“Lo vedi?” protestò il primo cavaliere, “È sempre la stessa storia!
Dopo tutta questa fatica, Dio ci vuole oberare ancora.
Io non ci sto più al suo gioco!”

E tornò indietro.

L’altro cavaliere invece fece quello che la voce aveva ordinato.
Impiegò molto tempo e, inoltre, la salita fu penosa.
Ma quando il primo raggio di sole del giorno le sfiorò le pietre ammassate sul cavallo e sulle braccia del cavaliere, queste brillarono di una luce limpidissima.
Si erano trasformate in splendidi diamanti di inestimabile valore.

Brano senza Autore

Il grande guerriero e la moneta

Il grande guerriero e la moneta

Un grande guerriero giapponese alla testa di un esercito di numero molto inferiore a quello del nemico, decise di attaccare nonostante i suoi soldati fossero dubbiosi sull’esito positivo della battaglia.
Si fermò durante la marcia davanti a un tempio scintoista e

dopo aver visitato il tempio disse ai suoi uomini:

“Lancerò una moneta e se esce testa, vinceremo, se esce croce perderemo.
Siamo nelle mani del destino!”
Pregò in silenzio, poi gettò la moneta e venne “Testa!”
I suoi soldati fiduciosi si lanciarono in battaglia e vinsero senza difficoltà.

“Nessuno può cambiare il destino!”

disse uno dei suoi soldati.
“No, davvero!” rispose il grande guerriero, mostrandogli una moneta con la testa su entrambe le facce.

Storia Zen
Brano senza Autore

Per una goccia di miele

Per una goccia di miele

Tanti anni fa, in un villaggio, un uomo aveva appena aperto una bottega di alimentari.
Non faceva grandi guadagni, ma non poteva lamentarsi.
A quel tempo non occorreva molto per vivere dignitosamente ed essere felici.
Un bel mattino, la porta della drogheria si aprì davanti al primo cliente della giornata.
Era il pastore del villaggio vicino, con il suo nodoso bastone in mano e un grosso splendido cane accanto.
“Buongiorno, amico mio!” disse il pastore gentilmente, “Avrei bisogno di un po’ di miele.”
Il droghiere si avvicinò premuroso al banco:
“Buongiorno, signor pastore!
Siate il benvenuto!
Che bel cagnone, il vostro!
Miele avete detto?
Ne ho, certo, e della migliore qualità!
Avete portato un vasetto?
Perfetto!

Quanto ne volete?”

“Una libbra, grazie.
È davvero bello il mio cane, non è vero?” continuò il pastore.
“È l’essere che amo di più al mondo.
È il mio fedele compagno ed è anche molto intelligente.
Dovreste vederlo in azione quando è con me al pascolo…”
Il droghiere annuiva con grandi cenni del capo.
Mentre affondava il mestolo nel barilotto del miele e lo versava nel vasetto del pastore, una goccia di miele cadde a terra.
In quell’istante una mosca, venuta da chissà dove, si lanciò in picchiata sulla goccia.
Il gatto del droghiere, che fingeva di dormire raggomitolato in un angolo, seguì la manovra della mosca con un occhio solo.
Poi scattò come una molla e appiattì la mosca con un solo colpo di zampa.
Fino a quel momento il cane del pastore aveva finto di ignorare la presenza del gatto.
Irritato dal movimento improvviso del gatto, suo nemico atavico, ringhiò e si gettò sulla povera bestiola.

Un parapiglia spaventoso:

latrati, miagolii, zanne e unghie.
Prima che gli uomini potessero fare un solo gesto, il gatto giaceva stecchito ai piedi del padrone.
“Oh, maledetta bestia!
Il mio povero micino…” gridò il bottegaio.
Accecato dalla collera impugnò il primo oggetto pesante che gli capitò tra le mani e colpì ripetutamente il cane:
“Tieni! Così impari!”
Colpito alla testa il povero cane piombò morto al suolo, vicino al gatto.
Il pastore si disperò:
“Selvaggio!
Assassino!
Hai massacrato il mio cane!
Il mio unico amico!
Il mio compagno di lavoro!
Che farò io adesso?
Guarda come finiscono i disgraziati come te!”
Il gigantesco pastore brandì il suo bastone e, folle di rabbia, colpì a morte il droghiere.
“Aiuto!
Correte!
Addosso all’assassino!”
Da una strada all’altra, la notizia della morte del droghiere si diffuse in tutto il villaggio come una folata di polvere sollevata dal vento.
Lugubri rintocchi di campana si mescolarono a grida di collera e di vendetta, insieme a pianti e lamenti.
Uomini, donne, bambini accorrevano da tutte le parti.
Si impadronirono del pastore e lo massacrarono.
Il corpo del pastore fu steso accanto a quello del droghiere, del cane, del gatto e della mosca…
Lassù, nel villaggio vicino, quello del pastore, fu dato l’allarme:

“Aiuto!

Hanno ucciso il nostro pastore…
Andiamo a vendicarlo!”
Gli abitanti del villaggio, armati di pietre, zappe, forconi, cioè di tutto quello che trovarono a portata di mano, alcuni a piedi, altri a cavallo, attaccarono il villaggio nemico.
La loro rappresaglia fu terribile.
Colpirono, uccisero, saccheggiarono, incendiarono…
Gli altri risposero con altrettanta violenza.
Ben presto non rimasero nei due villaggi che cenere, cadaveri e desolazione.
Per combinazione, quei due villaggi così vicini erano sulla linea di due stati diversi.
Il re del primo, messo al corrente della distruzione del suo villaggio di frontiera, s’infiammò di collera, riunì il suo stato maggiore e fece redigere una dichiarazione di guerra che venne affissa in tutti gli angoli del regno.
Il re dell’altro paese non tardò a reagire rendendo pubblico il suo proclama:
“Davanti a Dio e agli uomini, io protesto contro l’arroganza dei nostri vicini.
Il loro re ha calpestato tutti i trattati e le leggi esistenti.
Sono obbligato a rispondere con la forza, in nome dell’Onore e della Giustizia, in nome della Gloria eterna del nostro popolo!”

E scoppiò la guerra.

Una guerra terribile e letale.
I due paesi furono messi a ferro e fuoco.
Durante l’inverno, la primavera, l’estate, per anni e anni.
I campi di grano si trasformarono in campi di battaglia; le fattorie furono devastate, il bestiame massacrato…
La guerra infuriava ancora, quando sopravvenne la carestia, poi le epidemie, i morti senza numero e… il freddo di un inverno che non si era visto a memoria d’uomo.
Sui campi e sui cimiteri coperti di neve dal campanile di un paese lontano giunse l’eco del suono delle campane che si perdeva nel vento gelido.
Era il primo gennaio.
Quei pochi che sopravvissero per miracolo si domandavano e si domandano ancora come e perché tutto questo era potuto cominciare e come sarebbe potuto essere evitato.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’amico dell’imperatore

L’amico dell’imperatore

All’imperatore Ciro il Grande piaceva moltissimo conversare amabilmente con un amico molto saggio di nome Akkad.
Un giorno, appena tornato stanchissimo da una campagna di guerra contro i Medi, Ciro si fermò dal suo vecchio amico per passare qualche giorno con lui.

“Sono spossato, caro Akkad.

Tutte queste battaglie mi stanno consumando.
Come vorrei fermarmi a passare il tempo con te, chiacchierando sulle rive dell’Eufrate…” esclamò l’imperatore.
“Ma, caro sire, ormai hai sconfitto i Medi, che cosa farai?” domandò l’amico saggio.
“Voglio impadronirmi di Babilonia e sottometterla!” spiegò Ciro il Grande.

“E dopo Babilonia?” chiese il saggio.

“Sottometterò la Grecia!” disse l’imperatore.
“E dopo la Grecia?” domandò ancora l’amico saggio.
“Conquisterò Roma!” continuò Ciro il Grande.
“E dopo?” continuò a chiedere il saggio.

“Mi fermerò.

Tornerò qui e passeremo giorni felici a conversare amabilmente sulle rive dell’Eufrate…” concluse l’imperatore.
“E perché, sire, amico mio, non incominciamo subito?” domandò Akkad.

Brano senza Autore

La guerra non dichiarata

La guerra non dichiarata

Una catena di montagne, ricche di ghiacciai e torrenti, che le tormentavano e le rendevano pressoché inespugnabili, segnava il confine di due nazioni.
Erano due nazioni quasi gemelle, abitate da popolazioni che si assomigliavano quasi in tutto, e perciò erano in continua lite.
I due popoli si contrastavano con ferocia in tutti i campi, da quello economico, a quello diplomatico, a quello sportivo.

Finché, ad un certo punto,

fra i due popoli confinanti divenne inevitabile la guerra.
I comandanti delle due armate inviarono agenti segreti ad informarsi sulle località dove fosse più facile un’irruzione in terra nemica.
I messaggeri fecero ritorno ed entrambi riferirono la stessa cosa.
“Esiste solo un punto, sul confine fra le due regioni, dove si possa riscontrare tale possibilità!”
I generali, da una parte e dall’altra, sorrisero soddisfatti e puntarono il dito sulla carta geografica:
“Ed allora è lì che attaccheremo con le nostre colonne corazzate!”
Già pregustavano il rombo dei cingolati, il fuoco delle artiglierie, la rapida vittoria, la gloria e le medaglie.

Da entrambe le parti, tuttavia,

gli agenti segreti si mostravano a disagio:
“Proprio in quel posto, però, abita un piccolo contadino, laborioso, in una piccola casa insieme alla moglie, molto graziosa.
Si amano e si dice che siano le persone più felici della terra: hanno anche un bambino.
Se noi dovessimo attraversare il loro podere ed accamparci nelle loro vicinanze, certamente distruggeremmo la loro felicità!”
Sulla faccia dei generali si spense il sorriso.

Tacquero sconcertati.

“Non si può fare questa guerra!” dissero all’unisono da una parte e dall’altra del confine.
E la guerra non fu dichiarata.

Brano senza Autore